SULLA RICERCA STORICA E ANTROPOLOGICA

SULLA RICERCA STORICA E ANTROPOLOGICA
di Giuseppe Cicolini

 

La Notte della Valpurga, fra il 30 aprile e il primo maggio in Germania (Foto: Harzer Tourismusverband)
La ricerca  storica e antropologica locale incontrano davvero la “contrarietà” della Chiesa tiburtina e dell’Abbazia Sublacense? Oppure della cultura scolastica e accademica?
Partecipo con piacere alle iniziative promosse da Aequa e mi è capitato di cogliere, conversando con qualche amico presente, espressioni come: ” Il clero tiburtino e sublacense non vede con troppo favore le ricerche degli storici locali”. Oppure: “Queste indagini antropologico – culturali sono viste con sospetto”. Ciò m’incuriosisce.
Aequa ospita scritti storici e antropologici. E fa bene. Allora, qual è il problema per il clero o per chiunque altro?

Per la storia
Le ricerche storiche che si pubblicano in questi anni sono documentate e non mi sembrano “ a tesi”. Se trattano temi che interessano anche le istituzioni ecclesiastiche (e da noi questo è inevitabile), fanno parlare i documenti, le “carte”. D’altra parte, è vero che gli archivi più ricchi sono proprio quelli di monasteri e cattedrali. Ma oggi sono anche aperti e disponibili agli storici.
In passato, una certa pubblicistica “storica” anticlericale faceva di ogni erba un fascio, e soprattutto vedeva dappertutto, nelle vicende risorgimentali, l’ostacolo permanente rappresentato dal cattolicesimo tradizionalista, ”intransigente”.
Dall’una e dall’altra parte, la polemica era continua e senza mezzi termini, soprattutto nella ”gazzetta” e nei circoli “liberali” tardo-ottocenteschi.
Gli storici veri sono sempre stati però, dalle due parti, più attenti ai fatti, non rancorosi, alla ricerca d’interpretazioni più distaccate delle vicende e dei conflitti Stato-Chiesa. Equilibrio non facile.
Le istituzioni ecclesiastiche, specialmente oggi,  pubblicano “tutto”, senza timore di un eventuale utilizzo di documenti ai propri danni …I Monasteri Benedettini di Subiaco, in particolare (1), hanno in programma di pubblicare tutto il possibile dei loro archivi. Alcuni qualificati ricercatori di professione lavorano stabilmente a curare quelle pubblicazioni.
Conclusione. Non pare che ci siano “eccessi di zelo”, da parte di ecclesiastici, nell’intralciare le ricerche storiche. Al contrario.

Per le ricerche antropologico – culturali
Qui noto una maggiore complessità. Posso immaginare che ogni volta che una ricerca evidenzia tracce di pratiche culturali arcaiche o “magico – sacrali”, un ecclesiastico si senta come messo in stato di accusa: “Come mai tutto questo sussiste, dopo due millenni d’iniziazione cristiana, “dottrina” per tutto il popolo, liturgia ufficiale della Chiesa? Ancora non si estirpa del tutto la radice paganeggiante o superstiziosa?”
Il fatto è che solo ora, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa sta confrontandosi con l’arduo tema della religiosità popolare, che continua a sopravvivere, per così dire, di vita propria, nel popolo. Le tendenze del passato erano: o accettare tutte le pratiche anche quelle “eccessive” (certi pellegrinaggi; devozioni “intimistiche”private; culti più o meno eterodossi nel desiderio di “rinascita”; rumorose feste patronali; “pie” pratiche di Confraternite, quasi sganciate dal clero); oppure respingere tutto questo (2), in nome della Liturgia e della Pastorale.
Così,  anche nel campo delle persistenze di antiche pratiche alimentari, mediche o “divinatorie” della “cultura analfabeta”. Igienisti, medici, scienziati e insegnanti si sentono in scacco per il “ritardo culturale”, nonostante loro? Solo la musica, danza e arte popolare non preoccupano alcuno, come se fossero del tutto prive di legami con la cultura subalterna . Il che forse non è.
Ci sembra che le ricerche nel campo antropologico non siano “oscurantiste”, ma al contrario svelino i modi di quell’animo popolare che vive negli interstizi della cultura “alta”. Si realizzano quegli studi non certo per auspicare un impossibile ritorno indietro! Mentre le pratiche di per sé testimoniano il bisogno di espressività, calore, amicizia, identità, in modi che non si ritrovano nella religione o nella cultura ufficiali. La convivenza tra le “due culture” – se ben comunicanti tra loro è tutt’altro che impossibile.
Per quanto è dato sapere, effettivamente in qualche parte dell’Europa (ad esempio nella tormentata area balcanica) quegli storici locali sembrano intenti a rinfocolare antichi odi, esasperando la memoria di torti subiti da questo o quel popolo e invocando vendette.
Oppure, la “valorizzazione” dell’eredità antropologica – culturale locale (ad esempio, in certa Italia del Nord) è posta al servizio di una ossessione  identitaria  e di separatezza
Ma non sembra il caso del nostro territorio e tanto meno di Aequa.

(1) Nel 1913, Antonio Lanciotti di Subiaco, col suo libro “ I falsari celebri –Il monachismo italiano durante il medio evo” – Casa Editrice S. Lapi- Città di Castello – si lanciò in una ricostruzione storica dichiaratamente anticlericale e polemica ( libro che Aequa potrebbe utilmente rivisitare oggi).
(2) E’ utile consultare il volume “La religiosità popolare” di Vincenzo Bo, Ed. Cittadella Assisi, prima ediz. 1979.  E ancor più:”Direttorio su pietà popolare e liturgia” – Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti-Città del Vaticano, 2002