"Tipi etnici e sociali in miniature stilizzate, arte e trofei per turisti, figure ibride di identità frutto di sguardi riflessi, simboli di resistenza, oggetti di memoria e d'affezione ormai disorientanti".Sono queste le definizioni riportate sulla brochure che accompagna la mostra di bambole etniche esposta nel Museo della Civiltà contadina valle dell'Aniene nel Palazzo Baronale di Roviano a cura di Vincenzo Padiglione (
1).
La mostra "in viaggio", per dirla con le parole dell'autore, ha raggiunto diverse importanti istituzioni museali italiane (
2), e per ora si è fermata a respirare l'aria della Valle dell'Aniene, sottoposta anch'essa ormai da tempo al 'viaggio' di persone, famiglie e gruppi di individui appartenenti ad etnie diverse, molte delle quali riconducibili per appartenenza ed origine etnica alle stesse bambole esposte.
Sono, infatti, circa 3000 le bambole provenienti da tutti i continenti, una consistenza che ci ricorda un primato raggiunto proprio in questi giorni dall'Italia per quanto riguarda il numero di gruppi etnici diversi immigrati presenti nel nostro territorio nazionale. Primato che ci fa balzare al primo posto in questa graduatoria internazionale. Si tratta di un dato che ci deve far riflettere soprattutto per quanto riguarda la capacità di accoglienza, e non mi riferisco soltanto alla fornitura logistica, ma a quella culturalmente adeguata ad avere un dialogo aperto e non pregiudiziale verso "l'altro", dialogo spesso compromesso da paure e pregiudizi inspiegabili.
Penso ancora ai pittori anche loro "altri", che da tempo sono anch'essi passati "in viaggio" in questa valle e che hanno lasciato preziose testimonianze con le loro opere d'arte, come ci mostra il Museo di Arte moderna e contemporanea di Anticoli Corrado, oggi un fiore all'occhiello della valle. E' utile ricordare la feconda attività di questi pittori, allora definiti in modo dispregiativo con il termine
"ciarlatani", i quali, muniti dei loro attrezzi di lavoro, circolavano nella Valle dell'Aniene in cerca dei suoi suggestivi paesaggi, e ritraendo gli abitanti di questo territorio con la minuzia di particolari che ricordano la fattura delle bambole in mostra.
Chiunque insegna oggi in una scuola, credo si sia accorto del notevole numero di allievi extracomunitari presenti nelle nostre aule, e le difficoltà connesse al loro inserimento. Cogliere queste differenze come un potenziale per accrescere la nostra e la loro cultura, è, non soltanto un modo per diventare semplicemente più colti, ma fattivamente aprirsi alla conoscenza più ampia condividendone i problemi e le politiche culturali.
Come direttore del Museo della Civiltà contadina valle dell'Aniene (
3) sento fortemente l'urgenza di ricordare che proprio questo aspetto rappresenta l'ambito in cui rientra la funzione e missione del museo che dalla comunità degli studiosi, è intesa come 'crescita della comunità che lo ospita in rapporto agli altri'. Come, e a cosa serve circoscrivere e riconoscere la propria identità rispetto agli "altri" - tema su cui il Museo della Civiltà contadina valle dell'Aniene lavora da sempre - è una domanda a cui dobbiamo dare una risposta e alla quale invito a riflettere.
Vincenzo Padiglione, appassionato raccoglitore - collezionista, intellettuale e studioso di questi problemi, spinto proprio dallo stesso desiderio di fondo, così scrive nella
brochure che accompagna la mostra:
"Oggi si ritiene ormai persa l'illusione di rappresentare con un'emblema una cultura, queste raffigurazioni, non più trofei ambiti, spesso neppure dal viaggiatore minore, sono oggetti alla deriva, silenziati e abbandonati in cantine o ad estetiche del recupero (il kitch, la nostalgia).
Eppure possono essere ancora loquaci. Sembrano proprio volerci dire qualcosa le bamboline etniche, in grande copia esposte nella mostra allestita dal Museo della civiltà contadina valle dell'Aniene. Con la loro minuta presenza non attestano soltanto la ricchezza e varietà delle differenze culturali, la seduzione dell'alterità, la bellezza di costumi esotici e le fogge pittoresche. Ci parlano ancora dell'orgoglio delle piccole patrie, della nostra irrequietezza e voracità culturale, del nomadismo che tutto pervade, persone, oggetti e culture. Figlie della autorappresentazione che non nascondono la loro autenticità negoziata, prodotta per essere venduta nei mercatini dei turisti. E, soprattutto, che compongono immagini di identità, palesemente approssimate, labili, artigianali. Nonostante gli sforzi di irrigidirle in tipi, di renderle fisse, stabili, definibili".
Se il fascino delle mostra risiede nella quantità di bambole e nei loro sfolgoranti colori, non dobbiamo dimenticare, al contrario, che a sua volta essa trae forza dalla singola specificità di ognuna di esse. Ne segue che, se la mostra vuole continuare ad esistere, deve curare ognuna delle bambole di cui è composta. Le conclusioni a cui porta questo discorso sono abbastanza ovvie.
Partendo da questa premessa invito tutti gli operatori impegnati ad operare in questo settore, ad usufruire della potenziale funzione educativa - didattica di questa mostra, che è
"capace in pochi tratti di improvvisare una comparazione culturale" (
4), che consente cioè di affrontare in modo semplice temi complessi di grande attualità e di fondamentale importanza, visti gli scenari internazionali che si vanno configurando e la velocità con cui cambiano.
In questo senso, essere pronti e consapevoli di questi cambiamenti, dotando le giovani generazioni ad imparare, riconoscere e rispettare le "differenze", significa, saper cogliere e uscire in modo positivo e dignitoso per noi e per altri da questa sfida nella quale siamo già immersi.