HERMANN HESSE E MARGHERITA OSSWALD-TOPPI (OVVERO L’OMBRELLINO VERDE DI ERSILIA)

di Barbara Occhigrossi

La pittrice Margherita Osswald Toppi, originaria di Anticoli Corrado e cittadina svizzera, “parla in modo sobrio, pacato, pesando le parole. Un po’ perché è il suo stile, un po’ perché spesso deve parlare altre lingue”. Così scrisse di lei don Paolo Carosi, monaco benedettino di Subiaco, filosofo e storico, in un articolo del 1968 (1). Anch’io la ricordo così: composta e misurata nelle parole, ma anche gentile, delicata e lievemente malinconica (2).
Margherita nacque nel 1897 a Roma (3), in via dell’Olmata, nella zona di santa Maria Maggiore, da una coppia di sposi anticolani: Bernardino Toppi, bellissimo modello di via Margutta (4), e Mariantonia Massimiani; passò l’infanzia tra Roma, dove il padre lavorava, ed Anticoli, dove erano gli interessi, le radici, la casa, la famiglia. Si innamorò dello scultore svizzero Paul Osswald (1883-1952), arrivato ad Anticoli Corrado già nel 1910, e con lui si trasferì a Zurigo nel 1912. È qui che conobbe lo scultore Hermann Haller (1880-1950), con il quale resterà amica per tutta la vita, e l’architetto Karl Moser (1860-1936), che la incoraggiò ad intraprendere la strada dell’arte per lottare “contro l’inconsolabile tristezza che la affliggeva a Zurigo (5)”. Pare, infatti, che la giovane Margherita passasse le sue notti piangendo (6), non solo perché Paul Osswald non la trattava con la dovuta tenerezza e non le consentiva di uscire (7), ma anche perché, probabilmente, la sua grande e bella famiglia le mancava (8).
Fortunatamente aveva un talento naturale per il disegno (9) ed imparò assai presto a dipingere e a scolpire, forse grazie proprio agli insegnamenti del marito, che, comunque, sfruttò il suo talento senza darle mai un franco (10). Espose in una mostra collettiva già nel 1913 (11) e creò, su incarico dello stesso Moser (12), i bozzetti di alcuni dei bassorilievi che Paul Osswald avrebbe realizzato per l’Università di Zurigo.
Paul e Margherita divorziarono nel 1927 (13) e Margherita, che mantenne sempre il cognome del marito, intraprese la strada della pittura, riscuotendo in Svizzera e fuori un grande successo di pubblico e di critica.
Nel 1919 i coniugi Osswald si trasferirono da Zurigo a Montagnola nel Canton Ticino (14) e lì, nel circuito di intellettuali ed artisti residenti, incontrarono, o forse incontrarono nuovamente, lo scrittore tedesco Hermann Hesse (15). Il 24 giugno di quell’anno i tre, insieme ai coniugi Bodmer, si recarono in gita a Carona, pittoresco villaggio ai piedi del monte San Salvatore, appena sopra Lugano. In seguito, ed evidentemente suggestionato dalla bellissima giornata trascorsa in compagnia dei suoi amici, Hermann Hesse scrisse “Giornata a Kareno”, capitolo de “L’ultima estate di Klingsor”, romanzo breve del 1920 (16).
Il capitolo è un tripudio di colori, scintillante, luminoso, un vero capolavoro d’arte pittorica. Sullo sfondo giallo degli stradoni e delle case di Kareno (Carona), immersi nel verde della valle di Pampambio (Pambio), lungo una strada rosea, ai piedi di montagne rosse, verdi, azzurrine e viola (17), Klingsor e la carovana variopinta dei suoi amici (le donne in rosa e bianco, gli uomini in bianco e giallo), si muovono “come fiori […] sotto la luce, nel verde” (18). I colori sono tanti e sono ovunque ed il lettore ha l’impressione di immergersi in un quadro sin dalle prime righe, tante e intense sono le suggestioni visive. I riferimenti alla giornata trascorsa a Carona nell’estate del ‘19 sono moltissimi, dai luoghi ai protagonisti e, sebbene i nomi reali degli uni e degli altri (19) vengano camuffati con anagrammi, diminutivi e raddoppiamenti di sillabe oppure sostituiti con nomi inventati, persone e cose risultano perfettamente riconoscibili (20).
Nel capitolo, oltre a Hesse alias Klingsor, pittore combattuto e inquieto, si riconoscono i coniugi Bodmer (la pittrice e il dottore), Paul Osswald (Agosto), Ruth Wenger (la regina della montagna) e Margherita Osswald Toppi, ossia “Ersilia” (21), l’ingenua ma saggia fanciulla dal nome sabino (22), che, vestita di viola e sotto un cangiante ombrellino color verde Paolo Veronese (23), passeggia cantando piano, ridendo e dileguando con la sua dolcezza le ombre malinconiche di Klingsor: “Klingsor venne a lei ridendo […]. Prese il braccio di Ersilia […] addolcendosi […].” (24).
In un ideale confronto tra Ersilia e Margherita, per quel che di Margherita si riesce a ricordare, si evince che molteplici, sia nel fisico che nel temperamento, sono le affinità tra il personaggio letterario e la fanciulla anticolana. Margherita era scura di capelli, di un crespo quasi riccio e il suo viso ricordava quello di una donna orientale; Ersilia è scura di capelli, riccia, dalla “testa africana”. Margherita aveva un fare composto, movenze delicate e una certa dolcezza nel parlare; Ersilia “emana pace” ed è “grave ed affettuosa”. Quando Hermann Hesse descrive Margherita-Ersilia lo fa con veridicità e con poesia, giocando con i colori come su una tavolozza (il nero dei capelli, il verde-azzurro dell’ombrellino, il viola del suo vestito in contrasto con il giallo, il bianco e il rosa dei vestiti degli altri), soffermandosi, in più passaggi, sui suoi modi gentili, rasserenanti, pacifici: “[…] se guardava all’indietro scorgeva il riflesso bluastro dell’ombrellino sulla testa africana di Ersilia; di sotto la sua persona vestita di seta viola, la sola figura scura della compagnia” (25). Ed ancora: “come uno scarabeo gigantesco, luceva l’ombrello smeraldino di Ersilia e al di sotto la sua chioma nera” (26). Inoltre: “Ma Ersilia interruppe con voce buona e profonda: «Smettetela, insomma! Chi dice ancora una parola di morte e di morire, non gli vorrò più bene. La finisca ora, brutto Klingsor!». Klingsor venne a lei ridendo: -Ha perfettamente ragione, bambina!” (27).
Ersilia, mora e gentile come Margherita, viene trattata all’interno del racconto con un riguardo che quasi  ommuove. Pensiamo al sostantivo “bambina”, in italiano nel testo, un termine che presuppone confidenza e familiarità da parte di chi lo utilizza e che denota, per lo più, un atteggiamento paternamente protettivo. In effetti Margherita aveva solo ventidue anni quando ebbe luogo la gita a Carona, venti meno di Hermann Hesse, dunque il termine “bambina” potrebbe essere stato scelto dall’autore a causa della giovane età della fanciulla anticolana, ma probabilmente anche a causa del rapporto cordiale e forse informale intercorso tra i due. Ma c’è di più, perché Ersilia, sul finire del capitolo, viene chiamata “sora”, ossia “signora”, e viene paragonata ad una stella: “Sora Ersilia […] tu sei la nostra buona stella” (28). Stella, cioè riferimento positivo, faro illuminante, strada di saggezza, quasi che oltre ad un’affettuosa e paterna condiscendenza, Hesse abbia provato una sincera ammirazione e del rispetto per questa fanciulla, alla quale non casualmente attribuisce il mitico e solenne nome sabino, rafforzato dal vocativo sora, tipicamente dialettale. ed Ersilia, la bambina, la stella, la signora saggia e dolcemente composta, suscita effettivamente ammirazione, perfino nel lettore, totalmente immersa in un’aura di saggezza antica e ieratica, al riparo dal sole sotto il suo ombrellino verde-azzurro, tra cordiali sorrisi, parole di benevolenza e canti del suo Paese.
Ma, pur ritratta come in un dipinto, ella è comunque un personaggio vivido e dolce, che ride, che parla e che canta infondendo un senso di pace e di armonia. oltre al già citato luogo in cui “[…] Ersilia interruppe con la sua voce buona e profonda”, è significativo anche il seguente: “Ridevano: saggio e bonario il dottore, Ersilia grave e affettuosa” (29); e ancora: “Risuonava limpida e profonda la voce di Ersilia, piano ella cantava per sé la canzone del «bel mazzo di fiori»; pace sgorgava dal suo canto” (30).
Che Hesse abbia davvero sentito cantare Margherita? certamente il canto ha un forte potere consolatorio quando si è lontani da casa e non è dunque escluso che, in Svizzera, Margherita cantasse le ballate della sua terra, nella sua lingua, e che le cantasse anche in presenza dei suoi ospiti e dei suoi amici. Probabilmente Hermann Hesse ebbe davvero occasione di ascoltarla (31) e qualcuno di quei canti potrebbe averlo particolarmente colpito. Quando Ersilia canta piano la canzone del “bel mazzo di fiori” (32), sembra di sentire Margherita, che amava e che cantava spesso “Quel mazzolin di fiori”, malinconica e triste storia di un amore tradito, assai diffusa in Italia e molto conosciuta nel territorio laziale (33); allo stesso modo, quando Ersilia accenna “Il mio papà non vuole ch’io sposi un bersaglier”, quasi all’inizio della passeggiata, il pensiero va ancora a Margherita e ad una ballata tardo-ottocentesca, diffusa, seppur con mille varianti, nel centro e nel nord Italia, ossia “La parricida” (34), cruento canto popolare di amore e morte: “Ersilia cominciò a cantare: «Il mio papà non vuole ch’io sposi un bersaglier». Altre voci si associarono; avanzarono cantando sin dentro il bosco, finché la salita si fece troppo ripida; la strada, diritta come una scala appoggiata al muro, risaliva, tra le felci, la grande montagna. «Com’è magnificamente rettilinea questa canzone!» lodò Klingsor. «Il padre, come sempre, è ostile agli innamorati. Essi prendono un coltello ben tagliente e fanno la festa al papà. Sparito! Accade di notte, nessuno li vede fuorché la luna, che non li tradisce, e le stelle, che son mute, e il buon Dio, che certo li perdonerà. Come tutto questo è bello e sincero» (35)”.
Entrambe le ballate, malinconica la prima e melodrammatica la seconda, stridono con l’amenità di Kareno e con l’atmosfera gioviale e gaia della compagnia, ma d’altra parte nel capitolo, come un po’ in tutto il romanzo, l’autore gioca molto col contrasto tra gli elementi, siano essi i toni del colore, siano gli altalenanti moti dell’animo del protagonista: morte e vita, luce ed ombra, allegria e malinconia, colori tenui e colori intensi. Dunque non stupisce che canzoni sull’amore tradito e sull’amore che uccide vengano inserite in queste pagine piene di brio e di gioia di vivere. Inoltre, non va dimenticato che le canzoni popolari del secolo scorso raccontano spesso di morte e di tradimento, di abbandono e di solitudine, con un disincanto e un’ingenuità che ai nostri giorni non sarebbero pensabili; cantarle al lavoro nei campi o durante una gita in campagna non doveva essere così inconsueto per i nostri antenati.
Ma ciò che colpisce di più, quando Ersilia entra in scena, è la costante e luminosa presenza del suo ombrellino verde smeraldo, come se l’autore ancora lo vedesse e distintamente lo ricordasse. Ma Margherita possedeva davvero questo ombrellino turchese o si tratta solo di un’invenzione letteraria? No, Hermann Hesse lo vide davvero tra le mani della giovane anticolana, non solo perché è lui stesso a confermarlo in una lettera del 1940 allo scrittore Rudolf Jakob Humm (1895-1977) (36), ma anche perché Margherita lo aveva ancora quando morì nella sua casa di Anticoli Corrado nel 1971.
Ricordo che, pur non essendo in buone condizioni, l’ombrellino ancora brillava al sole e il suo colore restituiva un’ombra variopinta e cangiante sotto la quale era bello nascondersi; ricordo anche che era tenuto in grande considerazione in casa e che, per poterci giocare, noi bambini dovevamo prelevarlo di nascosto. Composto da un delicatissimo manico di giunco finemente lavorato e da una calotta ricoperta di una stoffa brillante verde-turchese, probabilmente di taffetas o forse di seta, era un oggetto bello a vedersi e compagno ideale nei giochi d’estate. Reso immortale da uno dei più grandi scrittori del Novecento, l’ombrellino verde Paolo Veronese di Ersilia fu amato come una reliquia, rimanendo accanto a Margherita per oltre cinquant’anni e fino alla fine dei suoi giorni.
__________
1- P. CarosI, Una pittrice che onora Anticoli, Cronache della Val d’Aniene, 3, 1968, n. 11, p. 4.
2- Chi scrive è nipote di Margherita Toppi in linea materna.
3- È la stessa Margherita ad affermare di essere nata a Roma: cfr. W. von Ueverwasser, Gespräch mit einer römischen Malerin, in Margherita Osswald Toppi: Sechs farbige Wiedergaben ihrer Werke, Zürich, 1947 (cfr. anche la stampa del 1954), p. 5. Inoltre, A. TarquInI, Margherita Osswald-Toppi: sei stampe a colori delle sue opere, Zürich, 1953, p. 14; P. CarosI, cit., p. 4. Anche in E. SpoerrI, alla voce OSSWALD (-Toppi), Margherita, in Kunstlerlexikon der Schweiz. Jahrhundert 20, vol. 2, Frauenfeld, 1967, p. 710, si riferisce roma come luogo di nascita (fu la stessa Margherita a fornire i dati anagrafici e biografici per la voce a lei dedicata; cfr. E. Zimmermann, Lavoro e sono felice. La scultrice e pittrice Margherita Osswald-Toppi, in Incontri in Collina d’Oro, catalogo della Mostra a cura di R. Bucher, Montagnola, 5 aprile – 6 settembre 2009, Fondazione Hermann Hesse Montagnola, 2009, p. 69, nota 3).
4- “Modello assai ricercato, posò per Michetti, Mancini, Maccari, Sartorio e, giovanissimo, per lo
spagnolo Mariano Fortuny” (M. OcchigrossI, L’ambiente e il fenomeno artistico, in Il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado, Subiaco, 2006, p. 21). Si riconosce nell’affresco eseguito da Cesare Maccari a Palazzo Madama tra il 1882 e il 1888, dove è raffigurato tra i senatori che accompagnano Appio Claudio Cieco; cfr. U. ParrIcchi (a cura di), Anticoli Corrado: un paese immaginario, Roma, 1984, p. 324, nota 143; L. MasIna, alla voce Margherita Toppi OSSWALD, in L. IndrIo (a cura di), Civico Museo d’Arte Moderna Anticoli Corrado. Catalogo, Roma, 1995, p. 195.
5- W. Kaegi, Margherita Osswald-Toppi: la sua figura e la sua opera rievocate in una mostra ad Ascona, estratto dal Neuen Zürcher Zeitung del 6 agosto 1971 (ripubblicato insieme ad altri contributi in Margherita Osswald-Toppi 1897-1971, Ascona, post 1971, opuscolo non paginato).
6- W. Kaegi, cit.
7- In famiglia erano ben note le sofferenze di Margherita a causa del travagliato rapporto con Paul Osswald;
d’altra parte lei stessa non aveva problemi a parlarne; cfr. anche Kaegi, cit.
8- In Italia aveva lasciato molte sorelle e fratelli: Candida, Augusta, Natalina, Angelina, Adele detta Berta, Marcella, Mario, Carlo e Claudio. Delle sorelle, le prime due (prima Candida, che morirà giovane, e poi Augusta) sposeranno il pittore Pietro Gaudenzi (1880-1955), la terza sposerà lo scultore Attilio Selva (1888-1970), la quarta lo scultore Domenico Ponzi (1891-1973), la quinta, poi pittrice, il pittore Aldo Zauli (1902-1952); dei fratelli, Mario diverrà pittore e Carlo scultore.
9- W. von Ueberwasser, cit., p. 7; A. TarquInI, cit., p. 14; P. CarosI, cit., p. 4.
10- E. Zimmermann, cit., p. 53: “L’onorario era di 8000 franchi per i piccoli bassorilievi, ma in verità non vidi […] mai un franco da mio marito” (si riferisce, nello specifico, all’incarico dato a Margherita da Moser).
11- E. Zimmermann, cit., p. 53; D. DI Cola, Le ragioni dello stile. La critica di Pasquarosa Marcelli Bertoletti e Margherita Osswald-Toppi, modelle e pittrici anticolane, in M.Carrera (a cura di), Le Muse di Anticoli Corrado, Roma, 2017, p. 11.
12- W. Kaegi, cit.; P. CarosI, cit., p. 4; P. Pancotto, Artiste a Roma nella prima metà del ‘900, Roma, 2006, p. 236; e. Zimmermann, cit., p. 53; D. DI Cola, cit., p. 11, fig. 1.
13- Kunstlerlexikon der Schweiz, cit., p. 710.
14- Montagnola è una frazione del comune svizzero di Collina d’Oro, nel Canton Ticino (distretto di Lugano).
15- Il rapporto tra Margherita ed Hermann Hesse (1877-1962) è ampiamente trattato nel già citato lavoro di E. Zimmermann. Il saggio costituisce anche il primo, esaustivo lavoro di approfondimento e ricerca su Margherita Toppi e sulla sua vita nel Canton Ticino.
16- Per il testo italiano si farà riferimento all’edizione H. Hesse, L’ultima estate di Klingsor, trad. di B. Allason, in Romanzi, (I Meridiani), Milano, 1977, pp. 591-650 (d’ora in poi H. Hesse 1977). Per il testo tedesco, cfr. la prima edizione della Fischer Verlag: H. Hesse, Klingsor lezter Sommer, Berlin, 1920 (d’ora in poi H. Hesse 1920).
17- H. Hesse 1977, cit., p. 610.
18- H. Hesse 1977, cit., p. 610.
19- Carona diventa Kareno, Sorengo diventa Barengo, Lugano diventa Laguno, la Valle di Pambio diventa Valle di Pampambio, Palazzallo diviene Palazzetto, Monte Salvatore diventa Monte Salute, Monte Generoso diviene Monte Gennaro, Collina d’Oro diviene Monte d’Oro, Montagnola è Castagnetta.
20- Per il riconoscimento di persone e luoghi si vedano: J. MIlecK, Hermann Hesse: Life and Art, Berkeley, 1978, pp. 151-153; E. Zimmermann, cit., p. 53; H. SchnIerle-Lutz, Auf den Spuren von Hermann Hesse: Calw, Maulbronn, Tübingen, Basel, Gaienhofen, Bern und Montagnola, Berlin,
2017, pp. 456-465.
21- D. CIntI, Dizionario mitologico, Milano, 1989, p. 116: “Ersilia, nella leggenda di Romolo, è figlia di Tazio, re dei sabini. Romolo la prese con sé durante il ratto delle Sabine: Tazio dichiarò guerra ai Romani, ma Ersilia, volendo che la guerra non avvenisse, sposò Romolo. Questi, quando fu trasportato in cielo, ottenne che Ersilia lo raggiungesse.
22- Margherita non era originaria della Sabina propriamente detta, perché il territorio di Anticoli Corrado, sebbene non molto distante, non ne fa parte; ma evidentemente, come osserva E. Zimmermann
(cit., p. 53), Hermann Hesse scegliendo questo nome “le dimostra la sua referenza poetica e mitica”.
23- Per il colore cfr. il link http://pigmenti.net/verde_veronese.html (consultato il 09/03/2018): “Il verde veronese è un pigmento inorganico sintetico, e deve il suo nome al suo inventore, Paolo Veronese. Proviene dall’Italia ed è stato usato soprattutto dal XIX secolo”.
24- H. Hesse 1977, cit., p. 608.
25- H. Hesse 1977, cit., p. 609.
26- H. Hesse 1977, cit., p. 610.
27- H. Hesse 1977, cit., p. 607. sia la frase “Finisca adesso, brutto Klingsor!”, sia il sostantivo “bambina” sono resi in italiano nell’edizione originale in lingua tedesca: cfr. H. Hesse 1920, cit., p. 168.
28- Il vocativo dialettale “Sora” accanto al nome “Ersilia” è reso in italiano già in H. Hesse 1920, cit., p. 183. Molte traduzioni italiane, ma anche edizioni in lingua tedesca, invece, lo omettono (c’è però in H. Hesse 1977, cit., p. 622).
29- H. Hesse 1977, cit., p. 616.
30- H. Hesse 1977, cit., p. 622.
31- Un’ipotesi molto suggestiva e verosimile di J. MIleck, cit., p. 151.
32- Anche questa espressione è resa in italiano nel testo; H. Hesse 1920, cit., p. 183.
33- “Quel mazzolin di fiori” è un canto di origine alpina, che, pur non essendo di stampo patriottico, si impose come la canzone più cantata dai soldati italiani della Grande Guerra. Cfr. l. ColombatI (a cura di), La canzone italiana 1861-2011: Storie e testi, vol. I, pp. 282-283.
34- “La parricida”, con le sue molteplici varianti, risulta attestata già dal 1870 in Piemonte, Lombardia, Veneto, Dalmazia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio; cfr. G. StefanatI, La parricida, Il marito giustiziere, La madre resuscitata, L’amante confessore: considerazioni etnomusicologiche su quattro ballate rilevate nel copparese, Ferrara, 1995, pp. 12-15. La ballata narra di una ragazza che uccide il padre perché questi non vuole che si sposi con il fidanzato. La donna decide allora di uccidere il genitore durante la notte, agendo indisturbata senza essere vista se non dalle stelle e dalla luna, che non possono parlare, e da Dio, che saprà perdonarla. I nomi della ragazza-parricida variano a seconda delle versioni (Venezia, Angelina, Marietta, Angelinotta, Mariucia, Beppina) così come varia il mestiere dell’amato (bersagliere, marinaio, cannoniere, finanziere). Per il Lazio si può ascoltare un brano della canzone in: tp://www.teche.rai.it/2014/11/archivio-del-folclore-musicale-italiano-Lazio/ (link consultato il 07/03/2018; si tratta della versione di Colle di Tora [RI], non lontana da Anticoli Corrado, dove il canto non è completamente riportato e non contiene il verso del racconto, ma il senso rimane lo stesso).
35- H. Hesse 1977, cit., p. 609.
36- Cfr. H. Hesse -R.J. Humm, Briefwechsel, herausgegeben von Ursula und Volker Michels, Frankfurt, 1977, p. 91. La lettera di H. Hesse, del 26 marzo 1940, è in risposta a quella di R. J. Humm del 21 marzo 1940.