IL LAZIO NELLE “IMMAGINI D’ITALIA” DI PAVEL MURATOV

di Nicola Cariello

Pàvel Muràtov è ormai ben noto ai nostri lettori (1). Autore poliedrico, storico dell’arte, incessante animatore culturale sia in Russia che all’estero, uomo di grande fantasia e insieme di ingegno acuto, svolse gran parte della sua eccezionale attività (2) in Italia, verso la quale era attirato da un grandissimo amore.
Anche il brano che qui presentiamo, dedicato al Lazio, è tratto dalla sua opera più famosa, “Immagini d’Italia”, che ancora attende di essere tradotta integralmente nella nostra lingua. Lo scrittore, nella brevissima descrizione che segue, mostra in sintesi tutto il suo talento, che trasforma attraverso la lente dell’immaginazione, colorandola di reminiscenze storiche, quella realtà che all’epoca altri prendevano in esame sotto l’aspetto crudamente sociale. Un quadro inusuale, che in certo modo fissa per sempre sulla carta i paesaggi che andavano allora dipingendo, fra gli altri, i XXV della Campagna romana (3).

“Solo dopo un lungo soggiorno Roma ti premia facendoti conoscere il Lazio. I dintorni meno prossimi a Roma difficilmente vengono visitati dal viaggiatore frettoloso. Le strade del Lazio sono aperte soltanto per coloro che non hanno fretta di ritornare nel piazzale della stazione Termini, per quelli che hanno casa a Roma nonché per quelli che possono concedersi la libertà di scegliere il giorno e perfino la stagione preferita.
Certi posti del Lazio, come ad esempio il litorale, sono belli d’inverno; Ninfa è splendida nel breve momento della fioritura primaverile; le tombe di Corneto (4) vanno viste quando sono immerse in un mare di spighe ondeggianti; l’autunno conduce verso i vigneti carichi di grappoli di Olevano. Le terre del Lazio, in particolare, hanno un certo antico e stretto legame con la vita della natura. E in Italia non esiste altra regione in cui la natura guidi così palesemente l’attività umana. Non le creazioni di antichi artisti, ma l’opera di un grandissimo maestro, la stessa natura latina, costituisce il vero scopo di ogni viaggio nel Lazio.
Mal definito geograficamente nei suoi confini, tra Terracina e Civitavecchia, il Lazio si mostra assolutamente inconfondibile nella sua immagine e nella profonda originalità del suo spirito, che lo rende preferibile a qualunque altra località italiana. La fragranza di queste terre antichissime è rimasta forte come nei primi giorni della creazione. Non esiste altro posto dove si siano insediati uomini la cui vita si sia svolta in modo così costante e immutato nel tempo. E in nessun posto si sono allontanati così poco dalle verità dell’esistenza primitiva. Il periodo preromano, l’epoca dell’esistenza autonoma di tutti questi Sabini, Volsci, Ernici, l’epoca delle mura ciclopiche di Alatri, Cori e Norba, fu il secolo della più alta civiltà del Lazio. Dopo di che ebbe inizio la lenta decadenza delle imprese, dell’economia e delle città, che continuò sotto gli imperatori romani e continua con i re della nuova Italia. Il Lazio finora non è stato affatto toccato da quello spirito di intraprendenza che fa fervere di attività la campagna toscana. Perfino i fertili campi di Corneto ed i meravigliosi giardini di Genazzano fioriscono tranquillamente e in modo naturale come un vero dono di Dio. Le cittadine del Lazio, che sonnecchiano sull’alto dei colli, non conoscono altro suono che quello delle brocche di rame alla fontana ed il lieve scalpitio delle zampe delle capre. I muri scuri delle loro case e le tegole dorate dei loro tetti non sono turbati da nuove costruzioni. Innumerevoli anni sono trascorsi tra le loro vie come una sola giornata di una placida estate latina.
Qui il tempo non ha nemmeno alterato la purezza dei lineamenti del viso. Il tipo antico dei primi abitanti del Lazio si è conservato con una fedeltà unica nel suo genere. La fronte bassa e sporgente degli Etruschi e l’ovale allungato dei Volsci si possono vedere anche ai giorni nostri per le strade di Corneto e di Cori. I Sabini, grossi e tarchiati, si affollano nelle processioni dalle parti di Subiaco. L’uomo antico è rimasto padrone di questa terra: la sua vita continua a scorrere secondo le vecchie tradizioni e le regole antiche. Egli serba una grave religiosità contadina ed una saggia ubbidienza alla natura. Nei lavori agricoli è più raccoglitore che seminatore e gli esperimenti della scienza non lo attraggono molto. È di natura più pastore che cerealicultore o vinificatore.
Il Lazio è un paese di innumerevoli greggi, paradiso di tutti gli animali che, mentre si sono addomesticati, allo stesso tempo hanno trasmesso agli uomini qualcosa della loro natura primitiva e della libertà selvaggia. Nei minuscoli villaggi sabini e volsci gli asini condividono con i padroni l’umile casupola annerita dal fumo e le capre nutrono con il loro latte generazioni di piccoli Latini, seguendo l’esempio della capra Amaltea, che allattava Giove. Nelle ripide sassose viuzze di Olevano esse si sentono quasi parenti della famiglia umana. Giù nelle pianure della Campagna è pieno di greggi di pecore. E oltre, dalle parti del mare, intorno alle rovine di Ostia, pastori a cavallo armati di lunghe picche conducono al pascolo tori selvaggi e cavalli. I bufali pigri si difendono dal calore del mezzodì aggirandosi tra i canali delle paludi pontine, da dove emergono soltanto le loro corna ricurve e le narici scure. Avendo condiviso le sue sorti così strettamente con la vita della natura ed il mondo animale, l’uomo del Lazio per lunghi secoli non è riuscito a fare molto per la sua esistenza. Il genio dell’arte e il senso della storia raramente lo hanno toccato. Il viaggiatore qui non trova nemmeno la decima parte dei quadri e degli edifici che si possono trovare in Toscana perfino negli angoli più remoti. Qua non succede di passare da una grande memoria all’altra. L’interesse per le opere dell’intelletto e le impressioni dei sensi qui cedono il posto alla contemplazione, che domina ogni essere vivente e blocca ogni altra possibilità. Più che vedere il Lazio, bisogna immergersi nel suo spirito antico, segreto e beato, in cui si mescolano il profumo delle erbe fragranti della Campagna, l’odore del mare e la freschezza delle alture montane. Gli elementi naturali, il mare, le catene montuose e le pianure della Campagna, nelle più varie combinazioni, formano il paesaggio del Lazio. Non sempre ci si accorge che il mare, che si vede in continuazione, fa da confine a questo mondo e limita le verdi distese della Campagna. Dalla parte opposta l’orizzonte è segnato dalla splendida sagoma dei monti. Nelle chiare giornate invernali, quando l’aria di Roma è trasparente come un cristallo, l’imponente parete dei monti Sabini splende insolitamente con i suoi precipizi ed i suoi picchi nel cielo turchese in fondo alla via Nomentana. I colli Albani si levano come una cupola blu sullo sfondo dei tramonti dorati che si possono vedere da Palestrina. Nel meriggio estivo una leggera foschia avvolge la catena dei monti Volsci dinnanzi ad Olevano; e le cime verdazzurre sembrano allora più lievi delle nuvole, più evanescenti dello spazio celeste. La catena dei monti che declina verso il sud del Lazio si distingue per una sua speciale armonia. A nord di Roma i colli si delineano in modo meno netto. I monti Cimini si volgono verso Viterbo a ondate disordinate ed aguzze. Lì domina il Soratte e a quel monte isolato è sempre legata la memoria delle torbide acque del Tevere e delle sponde romane che esse erodono. La caratteristica di questi monti isolati è il loro fascino particolare. Il Circeo, che si leva quasi come un’isola in mezzo al mare vicino a Terracina, è ben degno di essere la montagna incantata che ebbe come ospite Ulisse.
Il Soratte, il monte Circeo, il monte Cavo nei colli Albani, sono tutti vulcani spenti. Come scrisse un antico viaggiatore del Lazio “Noi qui camminiamo sempre sui resti di un fuoco remoto, nella polvere dei secoli che hanno preceduto la comparsa dell’essere umano nella storia”. Questo fuoco cosmico spento ormai da un pezzo e questa polvere dei secoli primordiali hanno conferito alla terra del Lazio le sue forme maestose e solenni. Da esse si leva una profondissima quiete e il riscatto da tutto ciò che comporta una vita meschina e affrettata. Forse quella pace e quel riscatto che inconsciamente cerca chiunque più tardi rammenterà esaltandosi le rovine di Ostia, le necropoli di Corneto e i monasteri di Subiaco”.
_______________
1 – Cfr. “Aequa” n. 52 (marzo 2013, p. 21); n. 61 (giugno 2015, p. 51) e n. 67 (dicembre 2016, p. 19).
2 – “Nous sommes … face à un homme à l’énergie débordante, qui a foi dans ses forces et dans son talent et dont la curiosité est toujours éveillée”: cfr. Xénia Muratova, “Pavel Muratov historien d’art en Occident”, in “La Russie et l’Occident – relations intellectuelles et artistiques au temps des révolutions russes. Actes du Colloque, Université de Lausanne 20-21 mars 2009”, ed. Viella, Roma 2010, p. 68.
3 – Abbiamo tradotto appositamente per i lettori di “Aequa” il capitolo “Lazio” da Pavel Muratov, “Obrazy Italii”, ed. Svarog e K., Mosca 2005, tomo II, pp. 242-243.
4 – Antico nome di Tarquinia.