AI CARI ANNI CINQUANTA. RACCONTI

PIETRO PETRUCCI, Ai cari anni Cinquanta. Racconti, Editing Black Sheep Creative, Turania 2018, (15×21), pp. 106, ill. nel testo, s.i.p.
Pietro – per chi non lo conosce -, figlio de lu Guardianu, è un uomo affabile, bonario, dispensatore di amicizia e di saggezza, sempre pronto ad aprire la sua casa e a farla diventare “vicinatu”. Proprio come una volta, proprio come negli anni Cinquanta e come racconta nel suo libro-memoria, perché di questo si tratta: di una “autobiografia impossibile”, direbbe Guccini. Una autobiografia che si nutre di ricordi personali e si dipana per “temi”: la vita a Petescia, come si chiamava l’attuale Turania, il duro lavoro nei campi, le tradizioni, la famiglia, l’infanzia (“la mia bellissima infanzia”, scrive) con i luoghi “mitici”, i riti “di passaggio”, i giochi al fiume, le colonie a Riccione, i voraci assalti alle “fraóle de Caterina”.
L’Autore, insomma, intreccia i suoi ricordi d’infanzia (è nato nel 1948) con la vita, la quotidianità del paesino montano degli anni Cinquanta: “anni bellissimi in cui, seppur chiattarélli o giovincelli, affrontammo le nostre prime esperienze di vita”.
Cento pagine da leggere tutte d’un fiato, cento pagine nelle quali i nati negli anni Cinquanta ci si ritrovano tutti, compresi “i villeggianti” che da Roma salivano nei paesini dell’Appennino “per spezzare l’aria”.
C’è, latente, qualche vena nostalgica, ma Petrucci è uomo di ideali solidi e non ha perso “le speranze di un tempo, con le quali siamo diventati adulti e con le quali sapremo certamente invecchiare”. (Artemio Tacchia)