SONO TORNATE LE RANE NELLA VALLE DELL’ANIENE, DETRITI DI CULTURA AGRARIA

G. Cecili, Sono tornate le rane nella valle dell’Aniene. Detriti di cultura agraria, Fabreschi, Subiaco 2024, (16×23), pp. 176, Ill. b/n e a colori, s.i.p.


Ha inizio con un bando solenne o, meglio, un preconio, il prezioso volume di Cecili denso di memorie, citazioni, meditazioni che dalla Valle dell’Aniene, da cui scaturiscono, si dipanano via via creando un loro empireo distaccato dalla terra e tendente all’universale. “Ho portato in tipografia il flashback di una terra produttiva in ogni suo lembo per sconcertare quanti ora la vedono inselvatichita. Le devo questo tributo per riconoscenza, poiché mi ha accolto nel suo grembo, quand’anche fosse intenta a ripagare i contadini con una ricca vendemmia. E se nel proseguio si è data con la lesina, io non le lesino la mia gratitudine e gliela dimostro, dipingendone il profilo prosperoso di una volta”. Così l’A. nelle prime pagine del tributo che si è proposto di versare come un debito di gratitudine alla sua terra che vive ora più nell’immaginazione che nella realtà.
Complessa e tormentata la piccola-grande patria nella quale Cecili immerge il proprio io per esaltare le note molteplici da far percepire al lettore: “I nostri villaggi somigliano ad una corale polifonica che esegue una canzone a canone (tipo Fra Martino campanaro); ripetono la stessa musica con la stessa tonalità d’impianto, anche se ognuna ha la pretensione di marcare la propria differenza proprio con lo statuto”.
Affondando nel passato vengono poi alla luce le storie dei villaggi sparsi da secoli lungo la Valle. Sono storie minime e ripetitive costrette nei limiti delle tradizioni e delle consuetudini, ma che a volte assumono il carattere del miracolo nei racconti popolari, a volte sono il risultato dell’espressione cruda della giustizia terrena, che ogni comunità amministra gelosamente con la normativa che si è data. In proposito un capitolo è dedicato ad una “Carrellata di Statuti”: sono presenti, in ordine alfabetico, tutti gli odierni Comuni, da Affile fino a Vicovaro. Prima, però, l’A. descrive con cura le vicende dello stato-abbazia di Subiaco, in cui si staglia nettamente la figura del frate domenicano Giovanni Torquemada, al quale il pontefice Callisto III affidò il “governo spirituale e politico dell’abbazia” nel 1456. Anche la comunità di Roviano e le singolari norme del suo statuto sono oggetto di un’indagine particolare. Basta scorrere qualche titolo (Galetotto fu il ladro … Tanto va la gatta al lardo …Vita faunesca …Femmina d’amare, femmina d’amori … e così via). Ma si possono cogliere perle un po’ dovunque: ad Anticoli, il cui primo statuto risale al 1524, il collegio dei massari “era l’organismo socialmente e politicamente più importante, tant’è vero che tutte le ordinanze dovevano avere il suo placet”. I massari emanavano bandi, vigilavano sulla loro applicazione, decidevano l’esclusiva dei pascoli, eccetera. Erano sanzionati i furti degli ortaggi e alla punizione non sfuggiva nemmeno il ladro di fave, mentre la raccolta delle castagne era libera, ma solo dopo il primo novembre. Ad Arsoli, invece, non esisteva, secondo lo statuto, parità di genere, per cui la moglie senza il permesso del marito non poteva né vendere né comprare e non disponeva nemmeno della dote e dei doni nuziali. A Gerano i maiali che invadevano i fondi altrui, se catturati in flagranza, rischiavano la pelle e le spoglie venivano divise fra il porcaro, il comune e il danneggiato. Ogni località, quindi, presenta una sua storia peculiare ed una ricchezza di vicende difficili da riassumere: questi brevi accenni fanno comprendere la dovizia di informazioni contenute nel volume. Al quale, infine, accede un glossario che completa degnamente l’opera.
Un libro, questo del Cecili, che costituisce una lettura pensosa e dilettosa e un modello per le pubblicazioni che hanno ad oggetto la patria del cuore, come effettivamente viene qui ricostruita dal Nostro (NiCa).