MONSIGNOR VINCENZO ANIVITTI, DOCENTE UNIVERSITARIO, CHIERICO SEGRETO DI PAPA PIO IX, ARCHEOLOGO ANTE LITTERAM

MONSIGNOR VINCENZO ANIVITTI, DOCENTE UNIVERSITARIO, CHIERICO SEGRETO DI PAPA PIO IX,
ARCHEOLOGO ANTE LITTERAM

di Aldo Innocenzi e Luca Verzulli

Non capita tutti i giorni di scoprire che una persona originaria di un piccolo paese della Valle dell’Aniene, come Roviano, abbia avuto nel passato particolari meriti. Soprattutto se ad essa non è stata dedicata una strada, una piazza e non se ne fa menzione neppure negli scritti degli storici locali. Così, dopo aver effettuato alcune ricerche, abbiamo appreso che don Vincenzo Anivitti nato quasi certamente nei primi anni dell’Ottocento, rovianese da parte di madre (Agnese Parisi), può essere considerato uno dei nostri concittadini più illustri.
La famiglia Parisi, presente a Roviano fin dal Medioevo (1), presto acquista nel paese “una buona possidenza” (2) diventando una delle famiglie più importanti del piccolo borgo. Alcuni tra loro, come Andrea (vissuto nel XVII secolo) e Francesco (1710-1794) (3), raggiungono una certa notorietà anche in campo letterario. Il fratello di quest’ultimo, l’avvocato Luigi, sposa verso la metà del Settecento la marchesa Lucia Bruti Liberati. Una loro figlia, Agnese,  si unisce in matrimonio con Pietro Anivitti di Roma. Mentre Lucia, rimasta vedova, trascorre gli ultimi anni della vita a Roviano (dove muore nel 1810 e viene sepolta nella Chiesa di S. Giovanni Battista), Agnese dà alla luce, probabilmente a Roma, il nostro Vincenzo. Questi,  pur vivendo nella capitale dell’allora Stato della Chiesa, trascorre sicuramente molti periodi della sua adolescenza a Roviano, nella casa dove aveva soggiornato la nonna e che conteneva la ricca biblioteca dello zio Francesco. Da giovane entra in Seminario e subito si distingue per le sue interessanti produzioni letterarie, edite negli Annali delle Scienze Religiose (4).
Probabilmente i contadini rovianesi dell’epoca, molti dei quali analfabeti, si rivolgono a questo giovane studioso (amante “delle antiche memorie”, come dirà di sé in un articolo) (5) e gli affidano i reperti trovati durante i lavori dei campi o gli segnalano luoghi di interesse storico. Vincenzo, dopo aver osservato “per que’ dintorni”, (6) inizia così a collaborare con il periodico L’Album di Roma, sul quale pubblica intorno alla metà dell’Ottocento articoli, illustrati con interessanti incisioni, che descrivono molti dei luoghi visitati nei periodi trascorsi a Roviano, un paese che lo interessava particolarmente  (“Il certo si è che Roviano non merita di essere affatto obliato dagli studi archeologici”).
Viene a conoscenza così di ponte Scotonico (7) che descrive nell’articolo intitolato Agli amatori della topografica antichità (8), visita le rovine di Rovianello (9), la chiesa di S. Maria dell’Olivo (10) e si arrampica sulla cima di monte S. Elia di cui descrive e illustra i ruderi dell’antico romitorio (11).
Don Vincenzo non si ferma però all’indagine storico-archeologica, ma contemporaneamente si dedica alla pubblicazione di opere come De’ vantaggi che il culto dell’Immacolato Concepimento ha recato alla scienza, alla letteratura, all’arte e alla civiltà precipuamente nel medio evo  del 1847 (12) o L’etichetta le buone feste ed il buon capo d’anno (definito da Moroni “elegante e morale articolo”) (13). Tutta questa attività editoriale gli permette di accedere alla cattedra di Eloquenza dell’Università Urbaniana (14). Nel 1856 pubblica S. Francesca Romana – tratti principali della sua storia (15) e  tre anni dopo scrive e legge l’orazione funebre per la morte di don Giuseppe Tarnassi canonico Lateranense e segretario del vicariato. (16) Nell’anno della breccia di Porta Pia viene pubblicato Un sommo ingegno rivendicato alla Fede dal prof. Luigi Vincenzi. Ma il riconoscimento più importante delle capacità di don Vincenzo proviene dal Papa stesso, che lo sceglie come suo chierico segreto (17). Non appagato da questi benefici, il Nostro continua la sua attività letteraria anche dopo la morte del Santo Padre e nel 1879 dà alle stampe Il mese mariano de’ protestanti in Roma nell’anno 1879 – alcune risposte di M. Vincenzo Anivitti, estratto dal periodico La campana di S. Pietro, testimonianza vivace del rovente clima politico che si respirava in quegli anni nella nuova capitale dello stato unitario. Nel 1881 pubblica Le Pauvre Pèlerin d’Amettes ou Vie de Saint Benoit-Joseph Labre par Mgr. Vincent Anivitti Evêque de Caryste in part. inf., Rome, Imprimerie Joseph Gentili, 1881. Su questo ultimo testo l’autore viene definito “Monsignor Vincenzo Anivitti  Vescovo di Caristo (18)” il che fa pensare che Pio IX o il successore Leone XIII lo avevano quindi nominato vescovo titolare (19). L’Anivitti è quindi l’unico vescovo che Roviano ha avuto nella sua pur lunga storia.
Nell’introduzione a questa biografia di San Benedetto Labre, dedicata al vescovo di Arras Jean-Baptiste Lequette,  Raffaele Virili così descrive il nostro: “La vita che mi permetto di offrire a Vostra Eccellenza tradotta in francese, è dovuta alla penna di un illustre e rimpianto prelato, che mi precedette nella carica di Postulatore della Causa [di beatificazione ndr] e che trovava profondi motivi di devozione e che provava sentimenti di ammirazione estrema nella considerazione delle sante e sublimi virtù del povero di Amettes” (20). La data posta al termine di questa prefazione è l’8 dicembre 1881: visto che si parla al passato di Anivitti e che lo si considera un “rimpianto prelato” può darsi che a quella data il nostro fosse già morto (21).
Ci auguriamo che la figura e l’opera di questo letterato originario di Roviano vissuto durante le complicate vicende che seguirono all’Unità d’Italia, possa essere sempre più conosciuta e apprezzata.

DOCUMENTI

Ne L’Album di Roma, anno XII, 8 novembre 1845, p. 296:

AGLI AMATORI DELLA TOPOGRAFICA ANTICHITÀ

Cum nova toto quaerent,
nonnisi prisca peto.

Sotto i colli signoreggianti la valle, che al trigesimo quarto miglio della via sublacense si estende a dar più libero il corso ai tortuosi giri dell’Anio, prossimo alla moderna strada di Arsoli un ponte si asconde di quadrilateri massi costruito, sul cui strato contavansi venti due piedi e mezzo di lunghezza, di larghezza diciotto; e sul cui arco sembra che gravi un peso di secoli. Scotonico volgarmente si appella, Scutonico lo dissero il Fabretti, il Corsignani, il Revillas ed altri che ne fecero menzione o discorso; sebbene Stratonico denominato lo abbia l’Olstenio. Ma se costui errò forse nella denominanza; non errò ponendolo su quella via, che di mezzo agli Equi fu aperta dal magnanimo lor vincitore; e poscia fin là si protrasse dove Aterno versa il tributo delle sue acque in seno all’Adriatico. E ben numerosi son gli argomenti onde l’eruditissimo Nibby ha saputo riconoscere la Valeria costeggiante l’orrido monte S. Elia, immaginata già dal Fabretti, e da chi mal seguivane in ciò l’opinione, a nullità di prove soddisfacenti, e segno d’immense difficoltà. Certo è che tal ponte mostra già in se stesso confermare che a quella via appartenesse: dappoichè il carro, che certo non l’avrebbe strisciato frequente se fosse stato ponte si un semplice diverticolo alle sorgenti dell’acqua Marzia (siccome conghietturò il Fabretti); e che dovette certo andar frequente per un sentiero di tanta agiatezza e commercio qual fu già la Valeria (gemente sotto i carichi accumulati) solenni vi ha improntate le sue vestigie. È noto peraltro come sulle pubbliche vie, le più frequentate in ispece, volean sepolcro gl’illustri nostri maggiori, onde esposti alla pubblica vista, più sicura che non altrove aspettassero un vale pietoso, cui negar non sapevagli il passaggero. Or da questo costume eziandio difender poteva l’Olstenio una vetusta lapida mortuaria; poi nello Scotonico ad oriente dissotterrata non ha di molto, e del seguente tenore

t. nvfio.feliciano
t. nvfivs.fileivs
et.nolleia.secvndina
filio.dvlcissimo
b.m.f.

Più recente però, il rinvenimento di quasi intieri scheletri umani, la tumulazione de’ quali tutti presentava i caratteri dell’antica età, in un podere della occidentale parte al ponte vicino; e che pria dell’ineguale slavamento delle terre superiori facilmente si concepisce essere stato ad egual livello del ponte stesso; novella forza apprestavane all’argomento sostenitore dell’opinione, che già non piacque al Fabretti. Noi lo pubblichiamo; chè qualunque se n’abbia ad estimar la importanza, non potrà non arridere ai gentili animi ingenui che amando in tutto la verità, si piacciano interrogarne persino i savi, tristi reliquie dell’avita grandezza, che più non è. Molto più che si può quindi stabilire come il bivio della sublacense, e della Valeria, nè poi fosse alla stazione ad Lamnas, nè all’odierno diverticolo di Arsoli; ma in un quasi medio punto tra questi. Potrà ancora ogni curioso investigatore assicurarsi delle ulteriori tracce della Valeria superstiti al di là dello stesso ponte, e ben distaccate dalla facile strada che oggi a quel culto borgo conduce. Quanto poi ai nomi di quelli, dei quali un ferro campeste involontario turbava improvvisamente – le quiete ossa sepolte – lungo una via oltremodo magnifica al par dell’Appia e della Latina; ma di cui oggi in qualche punto si contrasta persino la direzione; un rozzo sasso o spezzato neppure ce ne offriva memoria:

Così sebbene un tempo al tempo guerra
fanno l’opre famose; a passo lento
E l’opre e i nomi insieme il tempo atterra!

A. V.

Ne L’Album di Roma, anno XVIII, 17 maggio 1851, p. 96:

VARIETÀ
Volgono sei anni da che per amore delle antiche memorie tentai di argomentare la linea della magnifica strada Valeria dopo la stazione ad lamnas rispondente al XIV miglio della via sublacense, come salisse poco a poco la prima curva de’ colli di Roviano, per ricongiugnersi agevolmente col ponte or conosciuto sotto il titolo di s. Giorgio. Il certo si è che Roviano non merita di essere affatto obliato dagli studi archeologici. Nel 1847 mi si disse che presso il viottolo di Rovianello (antico castello diruto) erasi rinvenuta per caso una specie di vettina crepata e ricongiunta a code di rondine, e che intorno vi si vedeano tracce di fabbrica romana. Accorso senza indugio ebbi la dispiacenza di trovar fatto in minutissimi pezzi per sospetto di qualche tesoro, un dolio di sodissima composizione di terra, largo e grosso da starne a paro con qualunque altro pregiato; siccome tosto mi piacque di farmene certo pel confronto delle misure prese di questo, e di alcuni su i quali tiene parola il Vinckelmanno (nota: Vedine i Monumenti antichi inediti T. II, p. 111 c. IX. Diogene II, Bassoril. 174).
Per non so quale combinazione quel dolio era non pure della stessissima forma in che ci si figura in un rilievo illustrato dall’anzidetto archeologo il dolio di Diogene; ma per più di egual crepa e con eguale arte ricommesso a diversi punti, come il greco artista immaginato aveva quello del suo filosofo. Codesto vaso potè servire agli usi campestri o domestici di L. Rubrio o di chiunque fosse l’antico possessore del fondo rubriano o rubiano. Certi sassi ho anche osservato per que’ dintorni, dal cui lavoro si apprende avere essi appartenuto a qualche ara o tempietto, o certo a qualche sepolcral monumento. Taccio di un lacrimatoio, ritrovato, per caso anche questo, presso umane reliquie non molto lungi dal ponte scotonico sotto Roviano ad oriente: era in una pentola di terra rossa egualmente antica; e sia per la patina entro formatavi dalle lagrime, sia per la umidità della terra, la parete interna del vetro pareva incrostata a mercurio. Vorrei credere che la pentola fosse la insegna dell’arte in cui erasi forse distinto il sepolto, l’arte fittile, di cui faceano conto i nostri maggiori, prima che s’invogliassero de’ vasi di Corinto argomenti di rimprovero ne’ paradossi di Tullio.
V. Anivitti

Quest’ultimo articolo è  esplicitamente citato (e in parte riportato) da Moroni nella voce “Roviano” del suo monumentale “Dizionario…” (22).

Ne L’Album di Roma, 8 agosto 1846, p. 191-2:

LE RUINE  DI S. M. DELL’OLIVA
SULLA VIA SUBLACENSE
AL MIGLIO XXXIII

Questo disegno, a dir vero, nulla offre di meraviglioso e piacevole; ma le poche parole, che lo conseguono, faranno argomento che invano nol pubblichiamo.
Il villaggio conosciuto nelle carte dei bassi tempi col nome di – Castel di Roviano – domina nel sottoposto suo territorio alcune cadenti muraglie, che distaccandosi dalla via sublacense poco dopo il miglio XXXIII incontreresti a sinistra dello scoscieso sentier, onde lassù si perviene. Se questo obliato paese merita qualche reminiscenza per essere circondato dai ruderi dell’antica strada Valeria, e dagli avanzi del magnifico acquedotto di Q. Marzio; più lo merita certamente per le ruine sopra delineate. Reliquie son desse di non molto ampla chiesa campestre che su quel colle con picciol convento da oltre a sei secoli surse alla Vergine quasi a rompere coll’amabile religion del suo nome un cotale orrore di cui natura improntò quel passaggio. Santa Maria dell’Oliva nomavasi da un’Oliva, che senza umana industria (diccasi) nata e cresciuta, vi primeggiava sul campanile, verde e robusta resistendo del pari all’ardore del sole, e alla forza dei venti.
Mio desiderio si è palesare: che queste ruine appartengono alla storia dei viaggi, che con immenso guadagno di anime, come ne fraseggia il Wadingo (Ann. Franc. T. I.), furono impresi dal gran Padre degli ordini mendicanti. Così soggetto alla sciagura del tempo quest’umile santuario, nella materiale esistenza; non la perda nella memoria dei viaggiatori pietosi, che fiutan da lungi i passi dei santi, e ne adorano le vestigia.
Fu pertanto codesto colle scelto dal serafico padre quando per quelle contrade peregrinò al sacro speco dell’inclito Benedetto. Da Francesco fu gittata la prima pietra di questa chiesa: da lui suscitato l’annesso convento, poscia forse nel 1257 (Id. T. II.), eretto regolarmente: da lui lasciati a spirituali rettori del circondario abitato i suoi frati che tali ne furono fino al 1280, sebbene fino al precorso secolo abbiano ritenuto quel luogo i padri conventuali. (Ap. par. Minor. della prov. di Rieti). Il Teuli, che alquanto a lungo ne parla aggiugne di più che le divote genti credeano, di propria mano avesse ivi il santo piantato un cipresso al suo tempo ancora esistente; per lo che erano use darne a bere nell’acqua alcun bottone agli infermi, che spesso ne riportavano sanazione.
Se però il Teuli n’eccettui, niuno fra i conosciuti descrittori delle Franciscane memorie ricorda il monumento che produciamo; e il più accreditato illustratore dei dintorni di Roma forse troppo fido di un solo sguardo lontano, o di qualche guida ignorante, il travide quale avanzo di un’antica villa romana, che ivi forse si avea la gente rubria abbastanza già nota nella storia della Repubblica.
Ma a salvarlo dall’oblio dei primi, oltre l’autorità del citato autore, che pur non è oscuro; ci parve dovesse avere abbastanza di forza una perpetua local tradizione, che convalidata dalle manuscritte memorie del sovrastante paese, e commune pure alle terre circonvicine, abbraccia siccome l’edera quelle mura crollanti. D’altra parte non mancano di esempj nel Teuli stesso ad intendere che il silenzio di quelli autori non potrebbe stabilir fondamento a valido sospetto sull’origine illustre o sull’antica esistenza di qualche loro convento.
Quanto poi a vendicarlo dall’errore, onde fu traveduto qual monumento profano; basta soltanto che il viaggiatore lo visiti per assicurarsi del vero. Se i sassi hanno servito ad innalzare una casa di Dio, pare che anche disciolti o cadenti ispirino venerazione. Ciò che fu sacro una volta è sempre sacro. E poi sacre immagini, traccie di altari e tombe dischiuse sotto ai cespugli; tutto ivi porge idea di chiesa; e la dichiara insieme dell’epoca di S. Francesco.
Non solo adunque le apriche valli dell’Umbria, ma anco i monti sassosi, che ricordano la ferocia e i ladroneggi degli Equi, che l’ebbero a patria; ostentino le orme belle di un’uomo, che in un secolo di civili discordie, percorse quasi il mondo universo vangelizzando la pace.
Anivitti V.

Un altra importante rivista che ospitò scritti di Anivitti sono gli Annali delle scienze religiose:
Versione corredata di note dell’opera del gesuita Pietro Lazeri, Dei tormenti dei SS. Martiri e della sincerità che può argomentarsene de’ loro Atti, 2a serie, t. 12, p. 79 e 397, t. 13, p. 51.
Dei Commentatorium e di altri teologici, 2a serie, t. 8, p. 109.
Sul Concilio di Costanza, 2a serie, t. 12, p. 226.

Sull’Album di Roma ricordiamo anche:
“Di certi scienziati che dispregiano la letteratura”, t. 22, p. 11.
“Prolusione per la premiazione degli esperimenti dati alla fine dell’anno scolastico 1854-55 dalla scuola tecnica degli agrimensori e misuratori di fabbriche”, t. 22,  p. 399.

Altre opere del nostro autore:

Discorsi sacri e letterari, Roma, 1864.
Eucaristiche e funebri orazioni … per la prima volta riunite a seguito de’ discorsi sacri e letterari …, Roma, 1865.
Biografie sacre e analoghe varietà, Roma, 1866.
Prolusioni, memorie e poesie, Roma, 1867.
Prose varie … diverse dalle già riunite, Roma, 1868.
Del catechismo cattolico, Roma, 1877.
Oratione Panegirica di S. Paolo della Croce – 27 Aprile 1880 – Nella solenne traslazione del Santo, Roma, Tip. Guerra e Mirri, 1880.

1 – Gaetano Moroni, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliana, 1840-61, vol. LXXVI, p. 27. e Bartolomeo Sebastiani, Memorie principali della terra di Roviano, insieme con altre notizie su Riofreddo, e, meno diffuse, sopra Anticoli, Arsoli, Subiaco, regione Equicola e via Valeria, Ms. del 1830 ca., pp. 22-23.
2 – Moroni, Idem.
3 – Sebastiani, Op. cit., f. 29: “Il Sacerdote D. Francesco Parisi si applicò allo studio indefesso delle belle lettere,e vi si distinse. Fù segnatario dell’Ecc.mo cardinal Scipione Borghese, e quindi bibliotecario della casa. Hà dato alla luce nel 1784 Le istruzioni per la gioventù impiegata nelle segretarie che riscossero l’ap­plauso generale di tutti i letterati, e nel 1786. l’Epistografia contenente le memorie della vita del cardinal Cintio Passeni Aldobrandini, ed un nuovo metodo per istruire nella lingua latina i due principi D. Camillo, e D. Francesco figli di D. Marcantonio Borghese.
Prevenuto dalla morte rimasero inedite altre opere interessanti, che avea preparate. Avea riunita una scielta e voluminosa libraria legale, ed erudita con una vistosa collezione di codici antichi e manoscritti molto pregievoli.
Luigi fratello di D. Francesco fù uditore dell’Emo cardinale Borghese nella legazione di Ferrara. Finchè visse custodì gelosamente il deposito dei libri, codici, manoscritti, ed opere inedite del fratello; ma il suo figlio Maffeo poco conoscendo il preggio di questo ramo di eredità,in pochis­simo tempo se ne disfece con pochissimo suo frutto.”
4 -  Moroni, Op. cit., vol. LXX, p. 97.
5 – Ne L’Album di Roma, anno XVIII, 17 maggio 1851, p. 96.
6 – Idem.
7 – (ponte romano sul tracciato dell’antica Via Valeria che oggi si trova nel territorio del Comune di Roviano e che è stato recentemente restaurato).
8 – Ne L’Album di Roma, anno XII, 8 novembre 1845, p. 296.
9 – Ne L’Album di Roma, anno XVIII, 17 maggio 1851, p. 96.
10 – “Le Ruine di S.M. dell’Oliva sulla Via Sublacense al miglio XXXIII” In L’Album di Roma, t. 13,  pp. 191-2.
11 – In L’Album di Roma, anno XXV, 1 maggio 1858, pp. 83-5. L’articolo è riprodotto quasi interamente in Aldo Innocenzi – Luca Verzulli , S. Elia un monte una chiesa una casa, Subiaco, Fabreschi, 2000.
12 – Concepita come “ragionamento” letto il 21 dicembre 1847 per l’inaugurazione del 13° anno accademico dell’Accademia della SS. Concezione: Moroni, Op. cit., vol. LXXIII, p. 56.
13 – Moroni, Op. cit., vol. CI, p. 85. L’articolo fu pubblicato nel 1855 in L’Album di Roma, t. 21,  p. 302.
14 – Moroni, Op. cit., vol. LXXVI, p. 27.
15 – Moroni, Op. cit., vol. LXXXVIII, p. 264.
16 – Moroni, Op. cit., vol. XCIX, p. 81.
17 – Idem
18 – Caristo è una città della regione grega dell’Eubea.
19 – I Vescovi titolari sono quei religiosi che pur avendo ricevuto la consacrazione e quindi il potere episcopale, hanno solo il “titolo” della diocesi e non vi risiedono né  la possono governare perché questa si trova in paesi un tempo cattolici ma che ora non lo sono più. L’esistenza delle diocesi titolari è giustificata da un duplice motivo: da una parte si vuol mantenere il ricordo di diocesi una volta importanti e fiorenti; dall’altra è necessario che gli ecclesiastici vicini al Papa (Mons. Anivitti era “chierico segreto”) siano investiti dell’autorità episcopale.
20 – Già nel 1861 Anivitti aveva pubblicato Orazione panegirica del beato Benedetto Giuseppe Labre recitata in Santa Maria dei Monti nel terzo giorno del solenne triduo.
21 – Il 10 giugno 1888 risulta Vescovo di Caristo (la stessa carica di Anivitti) un certo Giuseppe D’Annibale (vedi L’Abbazia di S. Salvator Maggiore e la Massa Torana (a cura di G. Maveroni e A. Tassi), Comune di Concerviano (Rieti), Eco Editrice, 1989, p. 21). A questa data il nostro doveva perciò essere già morto.
22 – Moroni, Op. cit., vol. LXXVI, p. 27-8.
I