PANE E POLVERE. STORIA, E STORIE, DEI MINATORI DI CAPISTRELLO

GIANLUCA SALUSTRI, Pane e polvere. Storia, e storie, dei minatori di Capistrello, qualcheriga.it, Roma, 2017, pagine 128 (cm. 15×21), senza illustrazioni, € 13,00.
Gianluca Salustri è un giovane operatore dell’editoria, nonché blogger (“Qualche riga d’Abruzzo”) e animatore di Arzibanda, il riuscito festival musicale che da ormai vent’anni anima, a luglio, il centro antico di Capistrello; dopo tante parole tracciate sulle evanescenti pagine del web, ha messo su carta questa opera prima, nella quale parla del suo luogo dell’anima e di quegli operai che formano un tutt’uno con esso.
È infatti impossibile parlare di Capistrello senza citare i suoi minatori, né estirpare le singole vicende personali di questi magistrali operai giramondo dal loro paese natale, fucina
di un mestiere ingrato, del quale a ben diritto però mena vanto. Il titolo del libro echeggia l’opera di John Fante, lo scrittore italo-americano che della figura del padre – uno scalpellino abruzzese – ha fatto un totem letterario, ed è quindi una dichiarazione di intenti, essendo “Pane e polvere” un esplicito omaggio alle generazioni antecedenti quella dell’Autore.
L’opera, lungi dall’essere una mera rassegna memorialistica o un trattato esplicativo, è invece un affresco sociale che intreccia continuamente il paese –inteso come luogo fisico- e i suoi abitanti, tutti partecipi –come attori principali, comprimari o semplici comparse- della vicenda degli operai di galleria (“minatori” quindi in tal senso, o in quello letterale di addetti alla collocazione dell’esplosivo), parte predominante della forza lavoro nei decenni trascorsi e ancora molto presenti e attivi nei cantieri di tutto il mondo. Un mestiere portato durante il XX secolo in tutti i continenti, ma appreso sul posto nella seconda metà dell’Ottocento, quando il paese fu teatro della realizzazione di due grandi opere sotterranee: l’emissario del Fucino (che si sviluppa per la quasi totalità del suo tracciato nel territorio di Capistrello) e la ferrovia per Sora (che nel solo tratto tra le stazioni del capoluogo e di Pescocanale conta ben sei
tunnel, di cui due elicoidali). Un mestiere che ha portato con sé conseguenze dirette sulla vita degli operai (decine di morti, e un numero elevatissimo di malati di silicosi), e indirette su quella delle loro famiglie e del paese, che hanno dovuto fare a meno della presenza e delle capacità dei loro uomini migliori. Non mancano brevi interviste a vecchi minatori, e ai familiari di alcune delle vittime, colloqui dai quali emerge chiaramente il sacrificio che ha permeato la vita di tutti e il ruolo cruciale delle donne, custodi e artefici delle fortune e della rettitudine di famiglie cresciute senza padre.
Il libro tocca tutti gli aspetti di questa vicenda collettiva senza enfatizzarne nessuno a discapito degli altri, in un equilibrio che ne rende piacevole la lettura lasciando però spazio alla riflessione e all’approfondimento di ciascuno. Una nota di triste attualità è introdotta a chiusura del libro dall’Autore citando il gesto di un operaio, da anni disoccupato, che è andato a porre fine alla sua esistenza proprio vicino al suo ultimo cantiere: un tragico esempio del lavoro che uccide quando non c’è, in un paese dove il lavoro –quando c’era- ha mietuto più vittime delle guerre.
(Gianfranco Ricci)