Un pittore francese nei dintorni di Roma. Un paesaggio di Nicolas-Didier Boguet

Un pittore francese nei dintorni di Roma:
Un paesaggio di Nicolas-Didier Boguet

di Guido Hermanin

C’è un’immagine di Riofreddo, particolarmente suggestiva ed affascinante, che ha attirato la mia attenzione negli anni passati e che a lungo ha costituito per me un piccolo enigma. Rappresenta una veduta del paese di Riofreddo, con la sua rocca, la sua chiesa ed il borgo, sullo sfondo di una monta­gna impervia e selvaggia, con rocce appuntite, alberi sparsi e boschetti.
A Riofreddo, negli anni più recenti, questa immagine è stata spesso riprodotta, in generale piuttosto approssimativa­men­te, ed utilizzata per ricavarne piccoli quadri incorni­ciati da appendere alle pareti, illustrazioni, ecc. (è stata pub­blicata, tra l’altro, sulla copertina del numero 8 – gen­naio 1988 – del Bollettino della Società Riofreddana di Sto­ria Arte e Cultura con la semplice didascalia: “Riofreddo in una stampa del ‘700”).
Da quando l’ho notata per la sua grande bellezza mi è rima­sta la curiosità di stabilire quale fosse esattamente il pun­to di vista da cui è ripreso il paesaggio e chi ne fosse l’autore. Solo recentemente sono riuscito a trovare le risposte a que­ste domande e credo che valga la pena, aldilà della soddi­sfazione personale, renderne conto anche a chi può essere interes­sato.
Si tratta di un esemplare di acquaforte di Nicolas-Didier Boguet di proprietà della famiglia del signor Giovanni Bat­tista Artibani, di Riofreddo, che ringrazio per la copia fo­tostatica che mi ha gentilmente fornito. L’iscrizione nella parte inferiore è: “Eau-forte non ter­mi­née de la vue de Riofreddo, près le royaume de Naples” (Acqua-forte non terminata della veduta di Riofreddo, presso il Regno di Napoli). Inoltre compare ancora, in basso a destra, la firma: “N.D.Boguet”.
L’opera viene definita “non terminata” forse perché la rap­presentazione del cielo è priva di quelle nuvole che nelle opere analoghe assumevano una rilevante importanza iconogra­fica. Il paesaggio invece risulta essere pie­namente elabora­to ed in sé compiuto.
Nicolas-Didier Boguet era nato nel 1755 (il padre era sarto) a Chantilly, in Savoia, ed aveva frequentato a Parigi dal 1778 al 1780 l’Académie Royale, studiando pittura di storia e di paesaggio (1). Nel 1783 partiva per Roma con una lettera di raccomandazione per l’ambasciatore francese presso la Santa Sede. Il suo soggiorno di apprendistato professionale a Roma, che sarebbe dovuto durare sei mesi, si protrasse (come accade non di rado agli stranieri innamorati dell’Ita­lia) in realtà per ben cinquantasei anni, fino alla morte, avve­nu­ta nel 1839. La sua tomba è a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi, dove è sepolto anche Claude Lor­rain, ed il monu­mento funerario è opera dello stesso artista france­se, Paul Le­moyne, che ha eretto quello del grande Poussin in San Lo­renzo in Lucina.
Boguet, artista oggi forse conosciuto solo dagli addetti ai lavori e dagli specialisti (2), è, infatti, al suo tempo, per­sonaggio di tutto rispetto e di notevole successo: ha l’in­carico da Na­po­leone di eseguire vedute dei luoghi delle Cam­pagne d’Ita­lia, ove s’e­rano svolte battaglie vittoriose, partecipa nel 1811 alla decorazione del Quirinale per acco­gliere lo stesso Napoleo­ne ed il Re di Roma; nel 1813 viene eletto Accademico di San Luca; dopo il crollo napoleonico, negli anni della Re­staura­zione, la sua posizione non subi­sce contraccol­pi. E’ amico di Chateau­briand (che è il com­mitten­te della tomba di Pous­sin), il quale lo definisce il “mae­stro dei pittori francesi a Roma”. E’ in contatto natural­mente anche con la colonia dei pittori nor­dici e tedeschi di Roma e co­nosce lo stesso Goethe (3). Que­st’ul­timo, del resto, è amico e compagno di pe­regrinazioni di quell’Hackert che, giunto in Italia dalla Prussia nel 1768, vi rimase fino alla morte nel 1807, e che nel 1780 esegue le tempere della Sabina oraziana attorno a Li­cenza, da cui sono tratte le fa­mose incisioni che sono impor­tante esempio di geografia let­teraria tradotta in immagini. Stendhal dice di Boguet che “soltanto la mancanza della ca­pacità di intrigare gli impedì di essere il primo paesaggi­sta di Francia”, nel suo Napoleon lo utilizza come modello per il perso­naggio di un pittore paesaggista di grande se­rietà e corret­tezza professionale e, ancora, lo de­finisce “un allievo di Claude Lorrain, certo il migliore”. Ingres lo loda come “bel talento assolutamente classico” e “il solo depositario delle buone regole accade­mi­che”.

La descrizione dell’acqua-forte.
L’acqua-forte misura mm 300 x 435.
Il paese è visto da sud-ovest, da una posizione leggermente rialzata, come una balza di una collina. Si distinguono chiaramente la rocca dei Colonna e la facciata della chiesa parrocchiale di San Nicola con il suo campanile, ma i rap­por­ti relativi di altezza sono forse mutati rispetto alla realtà: il castello è più in alto e la chiesa, di conseguen­za, leggermente più in basso. Il borgo è, a prima vista, in­confondibilmente quello di Riofreddo, arroccato lungo il suo asse principale, la Via Valeria, ma, accanto alle semplici case di paese, ci sono, come a volerlo nobilitare ulterior­mente, edifici con archi e archetti su colonne e paraste e un altro tempio con la facciata a timpano poggiante su semi­colonne. A sinistra, in basso, un gruppo di costruzioni in posizione corrispon­den­te a quella che nella realtà era, fino a pochi anni fa, la zona delle stalle (la contrada delle “co­starel­le”), an­ch’es­se no­bilitate per dimensioni e tipolo­gia. A sinistra una costru­zione con una piccola torre (o forse u­n’ab­side).
Due piccole figure avanzano diagonalmente verso destra sul tracciato di un viottolo, assai intente in un loro dialogo agreste. L’inquadratura, presa da un pun­to di vista centrale rialzato e insolita per la rappresen­ta­zione di Riofreddo, è, dal punto di vista prospettico, piuttosto tra­dizionale. Si nota infatti l’espe­dien­te accademico della quinta ar­bo­rea sulla sini­stra bilan­ciata dallo spazio aperto a de­stra: in questo però, dietro una colli­net­ta boscosa, si ergono la pi­ramide del borgo e, più oltre, i contrafforti impervi e le balze di una montagna dall’asprezza quasi alpina, se non ad­dirittura nordica.
Come si spiega nell’acquaforte l’evidente compresenza di elementi reali e di fantasia? Boguet esegue numerosi dipinti (circa novanta pezzi) per “gli aristo­cratici francesi dell’ancien régime emigrati dalla Fran­cia in seguito alla Rivoluzione, i colti nobili inglesi e mitteleuropei, che sentivano ancora viva l’attra­zione per il Grand Tour; i membri delle alte gerarchie napoleo­niche, gli esponenti della Restaurazione anglo-austriaca e della Francia ritornata borbonica con Luigi XVIII e Carlo X (4).
L’attività grafica di Boguet è ancora più intensa: dedica al di­segno molto impegno e molta passione, in quanto lo intende sia come fase preliminare, preparatoria (parziale o totale) al dipinto, sia come opera compiuta ed autonoma (disegni ri­passati all’acquerello, a tempera, rialzati con biacca).
La grande maggioranza dei disegni di Boguet (più di 1000, distribuiti in 5 volumi) non vennero messi in vendita dal­l’artista e si conservano ancora tutti uniti in quanto un discendente della famiglia così li vendette, secondo la vo­lontà del figlio dell’artista, al Gabinetto Naziona­le delle Stampe tra il 1909 ed il 1910, sotto la direzione di Federi­co Hermanin.
L’evoluzione dell’opera di Boguet nel suo lungo soggiorno in Italia è decisamente articolata. Così “nei primi anni romani _ risulta aperto ad una pluralità di stimoli che provengono dalle molte sfaccettature del pae­saggismo e del vedutismo ita­liano e italianizzante”. Così, mentre arriva a “sfiorare – almeno in alcuni momenti – il naturalismo ottocentesco”, egli mostra soprattutto una “sensibilità neoclassica, con riferimenti al gusto pirane­siano”, anche se “tra gli umori neo­classici riemergono però ricordi ancora evidenti della for­mazione settecentesca e francese”.
In particolare si rileva l’”appartenenza della pittura del Boguet alla corrente neo­classica più legata al classicismo seicentesco”. Più avanti egli mostra una sensibilità romantica ed anche una manifesta attrazione per il paesaggismo nor­dico cosicché “la rappresentazione della natura si vena di un sentimento che è ormai romantico”.
Il metodo di lavoro del Boguet ed il suo modo di intendere il disegno vengono esposti e riassunti assai chiaramente dal figlio. Come tutti i paesaggisti della sua epoca, “da giova­ne, nella bella stagione, lasciava Roma e si metteva a per­correre le montagne, stabilendosi, per periodi più o meno lunghi, nelle contrade che gli offrivano una più ampia messe di studi e soggetti. All’approssimarsi dell’in­verno rientra­va in città e, durante la stagione fredda, si dedicava al lavoro nel suo atelier, dove realiz­zava uno o più quadri, il cui ricavato gli forniva i mezzi per rico­min­ciare le sue escursioni nella stagione propi­zia”.
I disegni dunque potevano essere finalizzati all’esecuzione di quadri, elaborati o derivandoli direttamente dai disegni (paysages portrait, ossia vedute dal vero) o giustapponen­do e mescolando in composizioni classicamente strutturate va­ri aspetti delle vedute dal vero o d’après nature (e ri­cavandone co­sì paysages composés) oppure, in molti casi, costituiva­no opere in sé compiute, dotate di un autonomo va­lore e­spres­sivo.
Si spiega così l’atmosfera dell’acqua-forte. Riofreddo diventa un paese di fiaba, al confine tra la realtà ed il regno del sogno e della fantasia, tra la dolcezza del pae­sag­gio a­greste in primo piano e l’asprezza delle rocciose montagne sullo sfondo, tra la civiltà e la natura. Esso, che in quel periodo diventa capoluogo di cantone secondo l’ordinamento francese, è del resto effettivamente un paese di frontiera, come opportu­na­mente ri­corda la didascalia, presso il Regno di Napoli, ma, nella veduta di Boguet, sembra vivere anche in un paesaggio di frontiera quasi come in tranquilla attesa dei “Tar­ta­ri” che si trovano nel deserto aldilà dei monti. Ci si potrebbe doman­dare se lo sviluppo del fenomeno della villeggiatura a ca­vallo del pas­sag­gio dei due ultimi secoli possa essere stato influenzato da im­ma­gini come que­sta, così come in seguito dalle descri­zioni e dalle pitture di caccia di Enrico Cole­man.
All’artista (ed al committente o al possibile acquirente) interessa il paese come egli stesso lo vede e lo vuole sentire (oggi si direbbe da turista), non come è nella realtà o come lo vedono e lo sentono i suoi abitanti . Da qui l’atmosfera fatata ed il fascino di un contrasto ricco di stimoli e di suggestioni.

1 – Traggo queste notizie, e quelle che seguono, dal catalogo, di Giulia Fusconi, della mostra I paesaggi di Nicolas-Didier Boguet e i luoghi tibulliani Dalle collezioni del Gabinetto Nazionale delle Stampe del­l’editore De Luca (1984). La mostra si è tenuta in occasione del bi­millenario tibulliano nella Villa Farnesina alla Lungara. Si veda an­che: Giulia Fusconi, “Nicolas-Didier Boguet le doyen des peintres français à Rome”, in Corot, un artiste et son temps, Atti del colloquio, Roma, Accademia di Francia 1996, Roma, 1998.
2 – Ma quattro vedute di Roma del Boguet sono esposte attualmente nella mostra Roma Veduta – Disegni e stampe panoramiche della città dal XV al XIX secolo, allestita a Palazzo Poli in occasione del Giubileo. Si veda il catalogo per le schede.
3 – Viaggio in Italia (1787):  “la fama dei francesi oggi tiene il campo e anche Boquet [sic] si va facendo un nome come paesista alla maniera del Poussin”.
4 – Esistono due copie (Chantilly e Roma) di un manoscritto del figlio dell’artista che elenca, tra l’altro, i nomi degli acquirenti dei di­pinti, dei pochi disegni venduti e delle acqueforti. L’esemplare roma­no contiene anche l’elenco dei disegni, con l’indicazione dei luo­ghi, conservati nei quattro volumi di disegni del Boguet acquistati dal Gabinetto Nazionale delle Stampe nel 1909. Il figlio dell’artista elenca nove stampe: una più grande (“La Sabi­na”), sei più piccole in serie e due, di dimensioni mediane e in pen­dant, che raffigurano: Veduta di Riofreddo e Il lago di Nemi.