Il cassetto chiuso

ADRIANO DE CUPIS. Il cassetto chiuso
Portofranco, 2011.

La biografia scritta in memoria dell’antenato garibaldino Filippo De Cupis, sebbene non scientifica e anzi volutamente romanzata, ha il pregio di rendere accessibile una figura conosciuta solo agli specialisti del Risorgimento. Adriano De Cupis, dopo lungo lavoro, è riuscito a mettere in ordine un puzzle appassionante ricorrendo alla documentazione di famiglia conservata gelosamente dal padre Renato in un «cassetto chiuso», che è stato aperto solo dopo la sua morte. «Venne il giorno – scrive l’autore – che aprii il cassetto del comò con la stessa sacralità con la quale si apre uno scrigno per troppo tempo rimasto chiuso. Il ‘tesoro’ consisteva in lettere, documenti, foto». Così, studiando quelle carte e confrontandole con gli studi disponibili (tra cui quello recente di Amedeo Ciotti sul Risorgimento nella Valle dell’Aniene, che ha fatto da vera e propria guida), l’autore è venuto a conoscenza di un personaggio dall’animo generoso e assetato di ideali, rimasto avvolto in un segreto di famiglia per via della sua misteriosa scomparsa. Filippo De Cupis, classe 1844, amministratore di alcuni feudi della Sabina per conto del principe Borghese, si adoperò dapprima per organizzare territorialmente i volontari garibaldini, tenere i contatti tra il Lazio ancora pontificio e le province italiane limitrofe, facendo la conoscenza diretta di Giuseppe Garibaldi e stringendo amicizia con i figli Menotti e Ricciotti. Quindi nel 1866 partecipò alla terza guerra di indipendenza per l’annessione di Venezia e l’anno dopo, integrato nello Stato Maggiore di Garibaldi, giocò un ruolo non secondario nell’organizzazione delle truppe in camicia rossa che muovevano verso Monterotondo e che verranno sconfitte nella famosa battaglia di Mentana. Ma la sua odissea non era che all’inizio. Tornato infatti alla moglie Giulia si avventurò, per il bene della famiglia e dei giovani figli, ad un incauto sodalizio finanziario con lo sconosciuto Giuseppe Natali, che si spacciava per banchiere e al quale affidò gran parte dei suoi risparmi. In breve tempo scoprì di essere stato imbrogliato, pieno di debiti e con le proprietà ipotecate. Cominciò così una disperata caccia all’uomo in giro per l’Italia, documentata dalle drammatiche lettere autografe inviate alla famiglia (tutte riportate integralmente in appendice). Si tratta di testi scritti tra il giugno e l’agosto 1888 in un italiano diretto, sconvolgente sotto certi punti di vista per il tormento psicologico del protagonista, i rimorsi, la volontà più volte dichiarata di «farla finita» immaginando «il mio cadavere dilaniato, squartato, sanguinoso esposto sulla pubblica via». Dalla sua ultima lettera del 20 agosto si sa solo che fu sul punto di imbarcarsi come terzo fuochista su una nave a vapore diretta a San Paolo del Brasile, dopodiché, come ammette l’autore nella sua ricostruzione, si può solo ipotizzare una sua tragica fine durante la lunga traversata. Il volume è quindi in un certo senso la vera pagina conclusiva della vicenda di Filippo De Cupis, al quale il pronipote Adriano ha voluto tributare tutto l’affetto e l’ammirazione. (A. Marguccio