Il tramonto delle aristocrazie cittadine nello Stato Pontificio. Tivoli nella prima metà dell’Ottocento

CARLO DE LUCA. Il tramonto delle aristocrazie cittadine nello Stato Pontificio. Tivoli nella prima metà dell’Ottocento
Casa Editrice Edigraf, 2010.

Opera prima dello studioso Carlo De Luca, il saggio patrocinato dal Circolo “Piero Gobetti” di Tivoli passa al setaccio un periodo storico di grandi contraddizioni e trasformazioni come la prima metà dell’Ottocento relativamente al contesto tiburtino, che l’autore definisce un «esempio paradigmatico» della complessità dello Stato Pontificio o quantomeno del Lazio. La ricerca è condotta su una serie di dati empirici tratti da una molteplicità di fonti d’epoca (dall’occupazione napoleonica di fine Settecento alle indagini promosse dai papi nel XIX sec.) che, sebbene soggette ad inevitabili approssimazioni e ad una innata non scientificità sociologica, restituiscono comunque un quadro abbastanza chiaro delle dinamiche sociali in atto. Particolarmente significativo, a dimostrazione di un declino che coinvolgeva il patriziato e la stessa potenza fondiaria della Chiesa, è il caso delle proprietà rustiche analizzate nel periodo 1781-1783 e 1839-1847. A fronte di una predominanza degli enti ecclesiastici nel primo periodo sta infatti l’ascesa vertiginosa delle proprietà borghesi, che passano dal 43,3% della superficie al 60%. A farne le spese è il demanio pubblico e soprattutto la Chiesa, che vede diminuite le sue estensioni dal 32,5% al 10,1%, mentre un segnale contraddittorio arriva dalla nobiltà romana che, fagocitando quella locale, passa dal 4 al 22% (complessivamente i dati dell’estimo affermano le stesse dinamiche). Il volume, nel descrivere dettagliatamente l’economia di Tivoli (imperniata su prodotti agricoli come olio e uva da tavola) ne mette in rilievo anche il potenziale industriale, caratterizzato da imprese, come quella siderurgica (ferriere Carlandi e Santini), che da sole coprivano l’intero fabbisogno statale di «viti a mordente», con oltre due milioni di libbre di ferro lavorato all’anno. Massimo esempio di una politica pontificia che intendeva fare «dell’area tiburtina uno dei poli dello sviluppo economico del Lazio», è la grandiosa opera di deviazione del fiume Aniene promossa da papa Gregorio XVI nel 1835. Tuttavia il De Luca, se da una parte accoglie la tesi di «un’era Aniense» che avrebbe garantito stabilità economica e fiducia nel progresso, dall’altra segnala l’indubbia complessità del fenomeno, rilevando che «nessun aspetto dell’economia locale sembra aver avuto una crescita particolare nel decennio successivo all’inaugurazione del Traforo». L’analisi economica si intreccia con quella politica, laddove la «sociabilità» diventa per l’autore un elemento chiave per comprendere le trasformazioni nella sfera ideale dei cittadini. Interessanti ma purtroppo solo accennati gli spunti sulle trasformazioni delle associazioni di laici in seno alla Chiesa di Tivoli (confraternite e pie associazioni femminili), che vedono erodere i loro Statuti essenzialmente devozionali a favore di un ingresso nel sociale, inaugurando così quella parabola che ha registrato da parte cattolica un forte impegno assistenziale di base a fronte di una estromissione dalla politica centrale. A passare sotto la lente di ingrandimento sono i luoghi per eccellenza della sociabilità ottocentesca: salotti, botteghe, caffè e soprattutto osterie. Queste ultime, in quanto istituzioni catalizzatrici del malcontento popolare, vengono messe in relazione con gli eventi del ’48-’49, quando la protesta sociale, passata alle piazze e in un certo senso legalizzata, segnò a Tivoli una temporanea diminuzione dei locali aperti (dai 23 censiti nel 1812 ai soli 7 del 1849). «Come ipotesi di studio – scrive l’autore – si può pensare che l’istituzione dei circoli popolari, frutto del clima vagamente liberale che si respira nello Stato Pontificio prima della rivoluzione nazionale, abbia potuto svuotare parzialmente le osterie dalla loro funzione di aggregazione sociale. Nel corso poi dell’esperienza repubblicana, l’ulteriore dilatazione degli spazi politici può aver ulteriormente offuscato la capacità di attrazione delle osterie». Uno studio, dunque, che guarda con sensibilità ad un periodo storico complesso, suggerendo interpretazioni ed ipotesi sulla base di dati empirici vagliati e riorganizzati con cura ed illustrati con ancor maggiore chiarezza. (A. Marguccio)