La Fontana di Castelvecchio, oggi Castel di Tora

La Fontana di Castelvecchio, oggi Castel di Tora

Di Pietro Carrozzoni

Il primo aprile dell’anno 1883 fu festa grande   a   Castel   di   Tora, l’antico Castelvecchio, così rinominato per   volere   di   amministratori imbevuti   di   reminiscenze classiche i quali avevano voluto resuscitare il   ricordo  dell’antica “città” sabina di Tora, di cui hanno parlato Varrone, Dionigi D’Alicarnasso, Plinio e tanti altri Autori, la cui esistenza, avvolta nelle brume della preistoria e protrattasi almeno fino al III secolo d.C., si era svolta su queste colline. Il suo destino si compì quando venne spinta nell’ombra dal fulgore della Città che era sorta, in piena età del ferro, su sette cime, emergenti dalla vasta palude, che occupava molta parte dell’antico Lazio, formata dall’impantanarsi del Tevere, lì dove il fiume  presentava un guado, punto di convergenza e di osmosi, economica e culturale, tra le due grandi civiltà del momento: l’etrusca a nord e la greca nel meridione.
Castelvecchio, da oltre otto secoli arroccato alla sommità di una rupe scoscesa che rappresentava un baluardo insormontabile per qualsiasi malintenzionato, aveva conservato con il nuovo regime, da poco instauratosi nei territori dell’antico Stato Pontificio, il suo ruolo di capoluogo di un vasto comune che, dal centro della valle del Turano, estendeva la sua giurisdizione anche al di là del crinale del gruppo del Navegna affacciandosi sulla valle del Salto.
Il   motivo di tanta festa era l’inaugurazione nella piazza centrale,  proprio di fronte alla chiesa,  della   nuova   fontana   che,  per la prima volta,  aveva portato l’acqua in paese.
L’evento era veramente “ricordivo” per gli abitanti tutti, poiché la mancanza di una fontana in paese, oltre agli evidenti disagi, veniva vissuta come una diminutio capitis dagli abitanti del Capoluogo che, in cuor loro, quasi invidiavano quelle frazioni nelle quali quel bene prezioso era a portata di mano.
Era stata tanto desiderata, quella fontana, da essere considerata quasi “un’utopia” dai paesani di allora e, finalmente, si era realizzata nel quadro di quella politica di accelerata realizzazione di opere pubbliche che intorno agli anni 80 l’ancor giovane Regno d’Italia aveva intrapreso per migliorare le condizioni di vita dei nuovi sudditi e far loro dimenticare le polemiche, gli avvenimenti ed i gravi disagi che avevano accompagnato  il passaggio dei poteri.
Castel di Tora approfittò del momento favorevole per realizzare l’opera che più di  tutto  stava  a cuore agli abitanti: portare  l’acqua in paese perché quello dell’acqua era un problema antico, dato che la particolare collocazione dell’abitato arroccato, i  detrattori collepiccolesi dicono appollaiato,  sopra   uno   sperone   roccioso molto  sopraelevato   rispetto   ai   dintorni,  non consentiva la   presenza di sorgenti naturali all’interno del centro abitato o nelle   sue   immediate   vicinanze, costringendo gli  abitanti  ad  estenuanti viaggi verso   varie   fonti,   tutte   piuttosto lontane.
Per   questo   l’amministrazione   comunale,  sotto   la   spinta   propulsiva del suo assessore   ai   Lavori   Pubblici,  il   notaio   Vincenzo Enrichi,  decise di “provvedere Castel di Tora e le due frazioni Colle di Tora e  Monte  di  Tora dell’acqua potabile”(1) dando subito inizio alle relative pratiche,  le   quali, impostate con intelligente sagacia  dal segretario comunale Federico   Lucchini e per il fattivo interessamento del Sottoprefetto di   Rieti Luigi Coccanari,  ebbero un iter così rapido che nel giro di   soli   novanta   giorni   fu   possibile   far   approvare   il   progetto, richiedere   ed   ottenere   dalla   Cassa  Depositi e   Prestiti il  mutuo  di  trentamila  lire  necessarie alla realizzazione dell’opera e, finalmente, appaltare i lavori. Alla sollecitudine amministrativa fece riscontro un’ancor più sollecita conduzione delle opere che  vennero ultimate in soli novanta giorni (potere delle cifre ricorrenti!). Tra la delibera comunale e l’inaugurazione dell’opera erano passati soltanto sei mesi (2).
Il momento saliente della cerimonia dell’inaugurazione della fontana nella piazza del paese, rallegrata dalla banda di Orvinio, fu il  discorso che il notaio Enrichi pronunciò  alla presenza della popolazione tutta e di varie Autorità, tra cui  l’applaudito Sottoprefetto Coccanari che aveva dato un valido appoggio per la realizzazione dell’opera, per la quale “non venne punto gravato il contribuente”  perché,  “per   far   fronte alla spesa si migliorò l’introito,  si ridussero le   spese”,  ossia,  si riuscì a reperire,  come si   direbbe   oggi,  tra   le pieghe del bilancio le somme necessarie.
Lo stesso notaio Enrichi aveva studiato un particolareggiato piano di estinzione del debito come venne esposto dallo stesso: “il mutuo delle 30 mila lire verrà estinto in venticinque rate annuali di  Lire 2085, dodici rate pagabili di bimestre in bimestre per Lire 347,  ascendendo la somma complessiva per  l’ammortizzazione   del capitale ed interessi a Lire  52127”.
La   somma   non   era vertiginosa neppure per l’epoca,  ma non   era   nemmeno   trascurabile   tanto   che   fu   lavoro   piuttosto   impegnativo reperirla tra le pieghe del bilancio in quei tempi di rigida amministrazione, nei quali   ogni   comune doveva far fronte con i propri mezzi a qualsiasi spesa,  ordinaria o straordinaria che fosse,  non essendo, per di più, consentito di erogare somme non previste, per   cui   l’accorta e capace  amministrazione   comunale fece ricorso a tutti i mezzi   “per   migliorare   l’introito   e   ridurre   le   spese” allo scopo di procurare le   necessarie   risorse   con   il   minimo   di   gravame   per   i   contribuenti.
Il   primo   provvedimento   fu   quello   di porre il   massimo zelo nell’esazione della “tassa di dimora pel bestiame forastiero” che nelle stagioni   estive   veniva   condotto   nel   territorio   del   comune   dai centri della bassa Sabina: il suo gettito fu di lire 500; “pel miglioramento di altri introiti . . Dalle economie fatte: . .  Pel consorzio   del   Sanitario   che   da   Lire  2000 è stato portato a Lire 3000 (a carico delle frazioni! n. d.  a. ) in meno per Castel di Tora L,  600,  dalla riduzione della   Mano Morta,  dalla soppressione   dell’indennità   di rappresentanza del sindaco e l’eliminazione di altre spese   facoltative   si   ottenne un introito di lire 2114  superiore   all’annuo impegno di Lire 2085,12”.
Un   così   articolato   piano   di   ammortamento   metteva   l’amministrazione comunale in grado di restituire alla   Cassa   Depositi e Prestiti le 52.127 lire dell’ammontare complessivo   del   mutuo,  comprensivo   degli interessi,  in 25 rate annuali di Lire 2.085,12,  frazionate in rate bimestrali di Lire 347, senza alcun   aggravio di spesa per i   contribuenti   del   capoluogo,  ma,  solo   con   un   piccolo   “ritocco”   di   1.000   lire   annue in più da   pagarsi dagli altri utenti del consorzio per il sanitario.
Questo episodio, del tutto marginale nella vita di un antico centro come Castel di Tora, può insegnare molte cose a noi lettori di oggi ed ai nostri amministratori, solo che ci si fermi per un momento a considerarlo nel suo complesso.
Oggi la piazza del piccolo centro sabino si presenta, come vollero i nostri antichi, chiusa, come da una quinta di antico teatro, dalla mostra della fontana che  inquadra lo spettacolo del lago con la suggestiva visione di Colle di  Tora sospeso, come per incanto, tra acqua e cielo.

Questo articolo è dedicato a Lisetta e Armando, amici di un tempo migliore.

1 – L’Inaugurazione delle pubbliche fontane nel comune di Castel di Tora. Discorso letto dal notajo Vincenzo Enrichi nel 1 aprile 1883, Rieti, Stab. Tip. Trinchi, 1883.
2 – Tanta era l’ansia di una sollecita realizzazione dell’opera che non vennero presi in considerazione alcuni dettagli, secondari rispetto allo scopo primario di addurre acqua in paese, ma non per questo privi di spiacevoli conseguenze. Non si era, infatti, provveduto a convogliare le acque di scarico per cui “l’acqua che cade dalla vasca, parte si riversa nei terreni sottostanti . . guastandone i prodotti e parte si spande per la piazza rendendo spesse volte impossibile il transito. Specialmente d’estate gli escrementi degli animali che circolano nella piazza, mescolandosi al fango prodotto dalle acque della fontana producono dei miasmi dannosi alla salute della popolazione”. Era poi necessario costruire “un parapetto in muratura sopra ad un muro a retta della piazza che costituisce un pericolo per i ragazzi che incauti spesso si avvicinano”, tenuto conto del grande dislivello esistente tra la piazza ed i terreni sottostanti. Dopo reiterate lamentele della popolazione, finalmente il Consiglio Comunale “pensò di eliminare l’inconveniente e approvò . . i lavori per la costruzione di una tubatura per lo scarico delle acque di rifiuto e di costruire un parapetto in muratura” per una spesa complessiva di 1.100 lire.