PASSENNO PE PRESTECATA … CHE BEGLI RICORDI!

MARIA LUISA PROCACCIANTI – NATALE SEGATORI, Passènno pe Prestecata…che bégli ricordi! Voci ed espressioni dialettali di Subiaco, Iter Edizioni, Subiaco 2018, pp. 232, (cm 14 x 21), Euro 15,00.
Scrivere in questo caso, è un po’ come farlo a quattro mani…ma con un cuore solo. Così come – a quattro mani e un cuore solo – è stato scritto Passènno pe Prestecata … che bégli ricordi! di Maria Luisa Procaccianti e Natale Segatori, coppia che da sempre funziona nella vita quanto nel lavoro. E il segreto è uno soltanto: l’Amore; quello che li unisce l’uno all’altra e quello che nutrono ancora verso l’insegnamento, la professione esercitata con una dignità e un’importanza pari a quelle che si conferiscono ad una vera e propria missione. L’opera di Procaccianti-Segatori è il naturale compimento dell’appassionato e minuzioso lavoro durato anni, partito proprio attraverso e insieme ai loro alunni, che tra una poesia recitata in dialetto e una domanda curiosa rivolta ai nonni, scavavano nel profondo della cultura popolare fino ad arrivare alle radici dell’albero di cui, non sempre consciamente, noi siamo i frutti. “Le radici profonde non gelano” e hanno dei volti e degli sguardi, quelli di tutti gli anziani con cui i due Autori hanno dialogato per mettere insieme i pezzi che compongono il puzzle di questo libro. Volti dei nonni che tanto amiamo o abbiamo amato, che mai dimenticano espressioni, poesie, preghiere o canzoni che hanno accompagnato il loro passato e che grazie a loro e a persone, come Maria Luisa e Natale, accompagnano ancora il nostro presente. Così, Passènno pe Prestecata…che bégli ricordi! si compone di una prima parte, la più consistente, rappresentata da un glossario di termini ed espressioni dialettali, alcune sconosciute ai più giovani, altre spesso sentite nel nostro quotidiano e talvolta anche usate per conferire al discorso quel carattere colorito e/o ironico che (anche i “puristi” più intransigenti dovranno ammetterlo) solo il dialetto è in grado di dare. La seconda parte, invece, raccoglie episodi e racconti personali di fatti realmente accaduti ed altri aneddoti che da sempre sono stati trasmessi oralmente e che conservano, grazie alla naturalezza con la quale sono stati riportati, la stessa intensità… con il valore aggiunto, però, di quella che è la forza caratterizzante della parola scritta: il restare.
La terza parte raccoglie canzoni e stornelli di Subiaco e della Campagna Romana, che ormai nessuno conosce o canta più e rischiavano di andare perduti per sempre. La quarta ed ultima presenta antiche preghiere, emozionanti per chi le ascoltava incuriosito da bambino, e di grande interesse storico-linguistico. Infatti, quei versi, in un latino prima frainteso dai nostri anziani e poi cristallizzato attraverso l’uso di termini incompresi, hanno tanto da dirci sulla nascita e sull’evoluzione della nostra lingua.
Alla fine, troviamo la sezione “I miei detti”, pagine bianche tutte da riempire che invitano ogni lettore ad arricchire la raccolta delle espressioni dialettali, richiedendo un contributo personale di collaborazione, di ricerca e di studio. Un tocco, questo, che molto parla dello stile di Maria Luisa Procaccianti e di Natale Segatori, nonché di quello che è stato il loro modus operandi durante gli anni dell’inseganmento. All’appoméssa, espressione appresa tramite il glossario della nostra opera e che sta ad indicare un “posto riparato dai venti ed esposto al sole”, è quindi a mio parere una sintesi perfetta del lavoro portato a compimento dai due Autori, che con amorevole professionalità hanno messo al riparo il dialetto e la cultura popolare sublacense dai venti del cambiamento, della modernità e dell’oblìo, donando nuova luce ad una tradizione che merita di continuare a brillare e che ha ancora il potere di trasmettere un piacevole e necessario calore. Come riportato in questo libro, Scott Randell Sanders diceva: “Il paese natìo … è un luogo che puoi amare se vi sei stato felice, o odiare se vi hai sofferto. Ma non puoi liberartene”, e gli Autori ci aiutano proprio a riscoprire che liberarcene, in fondo, non è quello che vogliamo. Perché per rispondere alla domanda esistenziale : “Dove andiamo?”, fondamentale è sapere da dove veniamo. (Francesca Giammei)