UN CENTRO DI DOCUMENTAZIONE A VALLEPIETRA SULLA FESTA DELLA SS. TRINITA’

UN CENTRO DI DOCUMENTAZIONE A VALLEPIETRA
SULLA FESTA DELLA SS. TRINITA’

di Franca Fedeli Bernardini

L’idea di realizzare un Centro di Documentazione della  Santissima Trinità nasce nel 1997, nell’ambito delle iniziative giubilari, per la specificità assoluta del santuario  di Vallepietra (1), uno dei più noti luoghi di culto rurali italiani. Tale santuario presenta una documentazione fotografica, filmica, sonora, pressoché ininterrotta dalla fine del XIX secolo a oggi, preziosamente conservata presso privati e fotografi amatoriali, televisioni pubbliche e private che hanno “ritratto” i numerosi pellegrini, i loro riti, la loro gestualità, i loro canti, il famoso “pianto delle zitelle”.
L’idea iniziale, poi sostanzialmente realizzata, scaturiva dall’esigenza di una doppia conservazione di oggetti (devozionali,  testuali e visuali). I primi, riposti quasi tutti  in parrocchia, documentavano aspetti dello stretto rapporto esistente tra le famiglie feudali del luogo (soprattutto i Caetani, gli Astalli, i Piccolomini), il paese e l’abbazia-santuario; tra i sacerdoti e gli arcipreti,  di nomina feudale, e la devozione per la Ss.ma Trinità, per alcuni santi  e   per alcune  confraternite i cui culti si sviluppano in maniera  autonoma rispetto al grande centro cerimoniale.
Il secondo aspetto, preso in considerazione già in fase progettuale, era la documentazione visuale legata al pellegrinaggio ed ai suoi luoghi più significativi, non ultima la chiesa parrocchiale di Vallepietra “attraversata” da numerose compagnie (2).
Tale ricca e “colta” documentazione iniziale scaturiva da un fenomeno più ampio di riscoperta, dalla fine del XIX secolo, dei luoghi più suggestivi della campagna e della provincia romana da parte di esponenti del Club Alpino e del Caffè Greco, e per citare qualche nome, di poeti come Cesare Pascarella, pittori come Enrico Coleman, fotografi come  Luciano Morpurgo, musicisti ed etnomusicologi come Luigi Colacicchi, registi come Pozzi Bellini, storici delle religioni come Angelo Brelich, antropologi come Annabella Rossi, Lello Mazzacane, Alfredo Lombardozzi, Emilia de Simone.
Copia di tale materiale, conservato presso l’Istituto Luce, la Discoteca di Stato, il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, la Rai ecc., e anche presso importanti archivi privati, sarebbe stato più significativamente riunito in uno stesso luogo, integrato dalla ricchissima documentazione di fotografi più o meno amatoriali e, soprattutto, da quell’eccezionale fonte locale, del tutto inesplorata, che è l’archivio locale di Italo Tardiola il quale, a partire dal 1945, iniziò a produrre cartoline, “immaginette” e libretti devozionali del santuario e di Vallepietra, a ordinare i primi souvenirs specifici, contribuendo a fornire e ad arricchire la “fantasiosa” attività degli altri “santari”.
I due spazi espositivi di oggetti sacri e di devozione,  di immagini filmati e libri  nascono come parte integrante del Centro di Documentazione del Santuario di Vallepietra, all’interno del progetto più ampio di creazione di centri-visita del Parco dei Monti Simbruini. Il progetto è parzialmente  finanziato con fondi del Giubileo (strutture espositive, impianti, attrezzature), della Provincia di Roma – Assessorato alla Cultura (volume sul pellegrinaggio, progetto di allestimento e sua realizzazione, schede di precatalogo informatizzate, coordinamento della campagna fotografica e del lavoro dei borsisti, impostazione dell’ipertesto), del Parco (acquisto di mobili e scaffalature), del Comune di Vallepietra (restauro dei locali). L’operazione è stata patrocinata dal Ministero per le Attività ed i Beni Culturali tramite la consulenza del Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari e dell’ICCD, che ha fornito numerose fotografie di Luciano Morpurgo.
E’ infine allo studio un progetto più ampio tra l’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Roma e l’Università degli Studi di Roma per la creazione della sezione naturalistica ed ambientale nel centro di documentazione.
Mentre il nucleo del centro di documentazione visuale preesisteva in altri locali del paese, gestito dall’Associazione culturale “Salvatore Mercuri”, il centro di documentazione “oggettuale” è stato interamente progettato. Gli oggetti esposti, ad eccezione dei souvenirs donati dai “santari” e dalla popolazione e  degli ex voto provenienti dal santuario della Santissima Trinità, sono stati depositati dalla Curia d’Anagni – Alatri e dalla Parrocchia nei locali comunali appositamente restaurati, mediante apposita convenzione.
Per la realizzazione del centro più propriamente museale, che integrava la ricca collezione di argenti, paramenti, oggetti confraternali con elementi devozionali ricollegabili alla complessa ritualità del santuario, si è proceduto in primo luogo allo studio di 12 compagnie “significative” che dai paesi della provincia di Roma usano recarsi al Santuario (3) in modo da comprendere dal “di dentro” le dinamiche poco note del pellegrinaggio di gruppo e a piedi e le trasformazioni della festa, “arcaica” più nella forma che nello svolgimento.
Tale lavoro d’indagine etnografica, che ha colmato una lacuna, è stato realizzato con l’apporto di sei giovani antropologi e di accreditati studiosi locali. In secondo luogo, mercè l’apporto di ulteriori quattro giovani studiosi (tre antropologi ed uno storico dell’arte) supportati dai funzionari della Provincia di Roma, si è proceduto allo studio del materiale dell’archivio parrocchiale, del tutto inedito, ma anche degli oggetti contenuti nella parrocchia stessa e  in particolare nei suoi ricchi depositi.
Soprattutto l’esame degli splendidi paramenti, degli argenti, degli oggetti confraternali (4) ha permesso di legare il paese e la sua collezione al santuario e ai pellegrini, attraverso una serie di apparati didattici che verranno integrati con squarci di immagini in movimento e suoni.
Le quattro salette per l’esposizione degli oggetti  sono state allestite in uno dei pochi frammenti superstiti del palazzo sopravvissuto alle distruzioni del terremoto di Avezzano del 1915. Tale palazzo, che conservava ancora il suo aspetto di fortilizio nel 1452, inglobava la “corte” oggi piazza del paese, la chiesa parrocchiale, già menzionata nel 1121 e contenente le sepolture gentilizie, e l’alto mastio che per primo si presenta al visitatore che arriva in paese.
Dato lo stretto rapporto storico di dipendenza  chiesa-palazzo è sembrato  legittimo, anzi opportuno in un’operazione di recupero museale e documentario, inserire, soprattutto nella prima  sala, oggetti provenienti dalla parrocchiale. Si possono ammirare: una Madonna in legno, una campanella, oggetti dei  Caetani in cassettiera, un calice del 1831, reliquiari,  oggetti votivi, corone d’ottone dorato della Confraternita del  Ss. mo Sacramento per matrimoni solenni, una Madonna in argento votiva (“Giacomo Graziosi per sua devozione. 1712”), lo stendardo della Confraternita Trinità e vecchi altri stendardi.
A Vallepietra si usa la benedizione al popolo il 1 novembre giorno di tutti i santi con tutti e reliquari, usanza praticata nella Valle dell’Aniene (a Roviano si fa l’ostensione delle reliquie il giorno della festa in onore di S. Fortunato martire, a settembre) ed attestata dalla memoria orale anche a Cervara, centro, come Vallepietra, di transuamnza.
Il relativo isolamento del centro, fuori dalle grandi strade di comunicazione, è testimoniato dalla presenza di un patrimonio abbastanza intatto, e la sua “centralità”, in un nodo di strade di  transumanza, dalla frequenza di doni votivi da parte di forestieri. Dato l’aspetto profondamente cambiato del paese (5) a causa del terremoto e delle più recenti trasformazioni edilizie, si è effettuato un rimando tra “interno ed esterno” che contestualizzasse o ricontestualizzasse gli oggetti più preziosi nel loro “antico” contesto, e nello stesso tempo si è pensato per ogni stanza ad un rimando allusivo all’argomento trattato nella stanza successiva. Nella prima stanza l’oggetto “tramite”  è la statua, di fattura più che artigianale, di S. Emidio, molto popolare nella zona in quanto protettore dai terremoti.
Nella stanza successiva, introdotta concettualmente dal  santo, sono state raccolte foto di immagini devozionali, oggetti popolari o preziosi delle principali confraternite del paese. In particolare va ricordata la confraternita di S. Antonio che attestava l’importanza locale della transumanza, quella più antica del Ss.mo Sacramento, che gestiva la festa del santo patrono Cristoforo; quelle del Rosario e del Carmine e quella, tuttora esistente, di S. Giuseppe (6).
Per evidenti ragioni di spazio sono esposti solo alcuni oggetti  cultuali processionali confraternali come alcune statue di gesso di santi, il grande tronco giallo “o albero del crocefisso” della compagnia di S. Giuseppe, il crocefisso “rosso” della compagnia  del SS.mo Sacramento, mozzette, le basiliche ed i lanternoni della stessa confraternita,  probabilmente risalente al XVIII secolo. Di particolare pregio sono le statuette di S. Giuseppe, del Rosario e del Carmine che i festaroli portavano nelle case fino a pochi decenni fa.
In virtù degli oggetti e delle schede è possibile aprire una visuale esterna sul paese, non più dal punto di vista della sua edilizia civile, ma tramite le sue chiese, delle quali le più significative sono la  parrocchiale e la chiesa della Madonna delle Grazie, interamente affrescata e contenente al suo interno una bella Madonna in cera del XIX secolo.
La terza stanza, dedicata al santuario ed ai suoi culti illustrati attraverso l’apparato visuale ed informatico,  è introdotta dalla vetrina che mostra l’operato dei sacerdoti, abati e fondatori delle confraternite, e del  grande stendardo del Ss.mo Crocefisso che rimanda alla stanza precedente, ma mostra l’iconografia, localmente tradizionale, della Trinità sotto forma di tre persone uguali e distinte contrapposte alle tre persone gerarchicamente subordinate, mostrate in un bel dipinto ugualmente esposto nella stessa sala. Vi sono esposti molti messali e libri, ma di particolare interesse è il dipinto della Crocifissione che, per la presenza degli elementi della passione quasi “decontestualizzati” e ridotti a “segni”, rimanda al “pianto delle zitelle”  che li esibiscono nella mano. Tale quadro è particolarmente significativo in quanto dono doppiamente votivo e di rimando  alla stanza successiva (7).
In questa stanza è simulata una parete del santuario con gli ex voto fotografati, con altre fotografie di ex voto particolarmente importanti per l’immagine e la riconoscibilità del santuario, ed ex voto donati recentemente dal santuario (due angeli senza ali di Olevano: “Soldati: Consoli Gioacchino e Ugolini Torquato e Militari 157: Reg.o” ).
Questa stanza, con i souvenirs venduti nel tempo dai “santari”, è  dedicata agli abitanti  di Vallepietra e ai pellegrini (ex soldati, “viaggiatori dello spirito”, compagnie) che speriamo vogliano arricchire con i segni (bandierine, souvenir e quant’altro) della loro presenza.
Il collegamento più logico con il centro di documentazione cartaceo, sonoro, visuale sarà determinato dai filmati e soprattutto dal filmato di Pozzi Bellini del 1939, scelto per la sua brevità, la sua capacità di evocazione e di contestualizzazione degli oggetti esposti, portati in processione dai confratelli e dai fedeli.

1 – L’insediamento, citato nella donazione del 1079 come “Valle Petra civitatis trebensis” figura come “Castello Valle de petra”  nel 1112 tra i feudi  dell’abbazia benedettina di Subiaco, promotrice  a partire dal X secolo del fenomeno più generale dell’incastellamento.  Donato nel 1257 da Alessandro IV al nipote Rinaldo di Jenne, con Filettino e Trevi,  passa nel 1297  alla potente famiglia Caetani con la rinuncia dei precedenti feudatari ad ogni diritto su Trevi, Filettino e Collalto. A parte un breve periodo (1481-1503) in cui ritorna all’Abbazia di Subiaco, Vallepietra rimane feudo dei Caetani fino al 1670, anno della morte di Orazio, quando per trasmissione matrilineare passa al nipote Tiberio Astalli, signore di Sambuci il cui discendente, Camillo Astalli Caetani, nel 1726 riforma lo statuto di Vallepietra. Dagli Astalli passa per debiti a Pietro Testa Piccolomini la cui famiglia conserva la proprietà del feudo dal 1757 al 1808 quando il possedimento viene ceduto a Settimio Bischi Bulgarini che lo vende nel 1820  a Camillo Torriglioni, Nel 1842 la proprietà passa al marchese Girolamo Riccini e nel 1865 al nipote Niccolò Quattrofrate che lo vende ad Antonio Troili nel 1869.
2 – La chiesa parrocchiale dedicata a S. Giovanni Evangelista è già menzionata nel 1121. L’interno, completamente rinnovato nel XVIII secolo, presenta tuttavia  tre ampie campate coperte con volte a crociera. Dalla visita pastorale di Mons. Pietro Gerardi  vescovo di Anagni, la chiesa possedeva, come oggi, 5 altari oltre il principale: il primo, a sinistra, dedicato alla Madonna del Rosario,  Juspatronato della famiglia dei Caetani e degli Astalli, il secondo al protettore S. Cristoforo, Juspatronato della Comunità vallepietrana, il terzo a S. Antonio di Padova. Il primo altare a destra conteneva la statua del Crocefisso e il secondo l’immagine della Vergine Lauretana. I restauri settecenteschi interessano prevalentemente la parte absidale, dipinta dal Ranucci nel  1764, i cui affreschi sono ancora visibili  nel catino absidale, gli stucchi e le dorature della cappella di S. Cristoforo e degli altari.  Nella chiesa ridecorata  nel XIX secolo,  furono apposte nella parte absidale nel 1941 due grandi tele raffiguranti  l’Orazione nell’Orto e la Cena di Emmaus  di Oscar Testa poste  tra il dipinto della Sacra Famiglia del XIX secolo. Gli altri edifici di culto, oggi esistenti,  sono la chiesa cinquecentesca di S. Maria delle Grazie, con la venerata immagine coronata, posta fuori porta Romana. Completamente  affrescata, fu accorciata dopo la caduta di un masso staccatosi dal monte. La chiesa di S. Francesco, che già compare nella mappa del  Reni  disegnata nel 1681, è posta sulla piazza omonima. Presenta una semplice facciata rettangolare e mostra all’interno tre altari dei quali il centrale è dedicato a S. Francesco, e i laterali a S. Maria della Neve e a S. Maria della Consolazione. Tra le chiese, ancora oggi esistenti, si ricorda la piccola  chiesa  di S. Giovanni Battista, posta fuori porta Napoletana, eretta da Giuseppe Costa nel 1768 che conteneva tre dipinti del XVIII secolo.
3 – Superata la piccola  chiesa  di S. Giovanni Battista, fuori porta Napoletana, da Vallepietra la strada s’inerpica verso il santuario della SS.ma Trinità posto al centro di tre vie di transumanza e nei pressi dei confini storici tra Stato Pontificio e Regno d’Abruzzo.  La chiesa a 1337 metri,  su resti romani, occupa lo spazio di una grotta da cui stillava acqua. Forse fondata da S. Domenico di Sora su una chiesa dedicata a S. Michele è ricordata dalle fonti la prima volta nel 1079 come chiesa della Trinità sul Monte Autore, chiamato nel medioevo “petra imperatoris”. Il santuario, il cui  culto vivissimo è già attestato nel XV secolo, è oggetto di devozione crescente nei secoli XVII – XX quando una “turba hominum” si reca al santuario nel giorno della festa della “Santissima  Trinità” per venerare le tre persone uguali e distinte dipinte sul muro della chiesetta superiore. Tale iconografia, inconsueta,  viene superata dall’iconografia divenuta canonica della Ss.ma Trinità: Padre, figlio e Spirito Santo, ma permane tuttora nelle “immaginette popolari”.
4- Nella  chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista si trovavano tutte le confraternite esistenti nel XVII secolo che celebravano sugli altari ancora oggi visibili: la confraternita del  Ss.mo Crocefisso, posta sull’altare omonimo, fu aggregata nel 1695 a quella del Rosario, la confraternita del patrono S. Cristoforo ricordata, come quella del Rosario, dal 1660 almeno e, nel 1662, la compagnia di S. Antonio da Padova, esistente o rifondata nel XIX secolo. La più antica confraternita del SS.mo Sacramento, posta sull’altare maggiore e menzionata nel 1613, finisce per inglobare nel XVIII secolo le confraternite che vanno scomparendo. Agli inizi del  XIX secolo, a partire dal 1807, venne fondata la confraternita di S. Giuseppe la cui devozione si sviluppa in molti paesi montani  a partire dal XVIII secolo, il cui culto venne trasportato nella chiesa  “fuori le mura” di S. Francesco. Segue poi la fondazione della confraternita della Madonna del Carmine, istituita da don Luigi Tozzi nel 1858 nella chiesetta cinquecentesca  delle Grazie provvista dal fondatore delle necessarie suppellettili come la Madonna in cera e la statuetta in metallo dorato da portare nelle case. La confraternita dell’Assunta, la cui novena è celebrata nel 1868 almeno dall’arciprete Giacomo Graziosi  è probabilmente già esistente a tale data come attesterebbe il grande stendardo processionale di tela dipinta con  sottostante scritta “RAPHAEL DE JORDANIS| PRIORE| MUTORUM PIETA FECIT A. | DOMI 1857” . La confraternita della SSma Trinità di cui si hanno pochissime notizie, forse di origine ottocentesca, è stata fondata o rifondata nel 1929 come da tradizione orale e dalla scritta ricamata in oro  sulle 8 fasce portate dai confratelli, ritratti con le ”pacette” dal  Morpurgo.
5 – La popolazione di Vallepietra, borgo montano isolato al centro di un ampio territorio oggi parco regionale, era dedita all’allevamento,  alla pastorizia di capre, pecore, buoi, al taglio del bosco ed all’artigianato (fabbricazione di sedie, oggetti in legno, scatole). Le scorte alimentari, data la penuria di  terreni coltivabili (grano, olio, vino), bastavano a malapena per tre mesi e la maggior parte degli abitanti, per circa nove mesi l’anno, andava in campagna romana  e ritornava l’estate quando il territorio si “apriva” alla transumanza estiva delle greggi che attirava  migliaia di  capi di bestiame provenienti dal Lazio e dall’Abruzzo. La scarsa produzione di grano, e di cereali, era  parzialmente supplita dall’istituzione del Monte Frumentario che, a partire dal 1694, contribuiva ad aiutare la popolazione nei momenti di particolare penuria e di carestia.
6 – Questa stanza illustra, inoltre, aspetti dei culti praticati dalla comunità vallepietrana. Un culto, importante come la Madonna della Neve, promosso dai boscaioli e nevaroli  già celebrato nel 1672, non ha lasciato testimonianze al di là dell’altare omonimo nella chiesa di S. Francesco. I culti di S. Cristoforo e di S. Rocco sono testimoniati dalle belle statue e macchine processionali, conservate presso il deposito delle confraternite. I culti di  S. Antonio di Padova e S. Antonio Abate, propri degli allevatori locali, sono rappresentati dalla persistenza della confraternita di S. Antonio. Ancora viva è la devozione per S. Cristoforo e S. Giuseppe la cui statue sono portate in processione assieme alle macchine dell’Assunta e del Salvatore nella tradizionale “Inchinata” di Ferragosto. La devozione, riscontrabile nelle processioni e nei culti dei santi “in casa”, è rappresentata dall’iconografia, colta e popolare,  come l’immagine della santa  commissionata dai “CONFRATRES  S. ANTONII PATAVINI.. A.D. 1891” e dipinta da Antonio Benini, autore dell’altare rappresentante proprio S. Antonio di Padova.
7 – Questo dipinto (cm. 86X110) raffigurante la crocifissione è attribuito a Orazio Bergiani (1597-1619). Donato nel 1949 dal signor  Armando Sabatello, riconoscente verso il parroco salvatore Mercuri e i parrocchiani per aver avuto da questi assistenza durante la persecuzione nazi-fascista contro gli ebrei. Lo stesso è oggetto di un’altra dedica: “Riconoscenti per il miracolo ricevuto, conseguente all’occupazione tedesca di Vallepietra le famiglie di Geremia e Raffaele Reali in occasione del 50° anniversario restaurarono. Vallepietra 1994″.